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La Normandia con i miei occhi

Tante immagini, fotogrammi, semplici frammenti… mi appaiono oggi, qui, proprio ora, tra le pagine di quella mente affollata, così ricca di luce assorbita, colma di vita respirata e intensamente vissuta.

Alcune sono ben visibili, chiare, nitide, altre capovolte attendono, una mano, un tocco. Ma sono comunque adagiate lì, schierate, tutte vicine, unite, legate dall’invisibile e solido filo del tempo, allineate in quello che è solo un apparente e casuale disordine.

Percezioni ed epoche prima si fondono e poi si confondono, si mescolano come carte baciate dal vento in un girotondo di sensazioni. Dentro alle pagine dell’anima sembra ancora ieri ed invece è già oggi o semplicemente è oggi ma sembra ancora ieri? Le dimensioni e i contorni del complesso quadro del quando sono superflui. Nulla infatti si è davvero smarrito, nè per la strada dei ricordi, nè sulla via del ritorno delle emozioni.

Alcuni viaggi sono così… inspiegabilmente senza tempo, anche se lo attraversano il tempo. Anche se lo sfidano violentemente rincorrendolo sempre, ancora e ancora, instancabilmente, lo abbracciano e poi lo stringono, lo trattengono e lui testardo, inesorabile e veloce scivola via, passa, ma noi, l’essenza pura di ciò che ormai è stato, è il vissuto, il passato no rimangono impressi a caldo su ogni centimetro di pelle dolcemente sfiorata.

 Immagini, suoni, odori e sapori restano intrappolati lì, tra le sinuose e leggere pieghe dei pensieri, tra le strette e strutturate maglie della spessa rete della vita ed abboccano come spavaldi pesci in mare.

Pesco Hakuri Murakani …. scriveva: “Ognuno lascia la sua impronta nel luogo che sente appartenergli di più” e ricordo che là sulle Terre di Normandia, seduta sul sedile del passeggero con il finestrino leggermente abbassato e il vento che mi scompigliava i capelli, accarezzandomi i pensieri, la sottile voce del verbo sentire si è accompagnata per giorni e giorni alla forza del vedere sostenuta da quei quattr’ occhi curiosi ed attenti, persi nel paesaggio francese, ammaliati ed ipnotizzati dalla composta e silenziosa bellezza di tutto ciò che ancora è possibile scoprire.

Nei ricordi la vista si posa su infinite distese di campi, campi che assomigliano ad una fantasiosa e calda coperta di patchwork, quella che nel cuore porta ancora il nome di nonna Giovanna, nella quale gli accecanti e accesi quadrettoni gialli di colza in fiore, da cui si ricavava l’olio per le lampade, si alternano con ordine maniacale a quelli verde smeraldo violento dei prati e a quelli di un delicato color oro in cui le spighe di grano che arrivano appena all’altezza delle caviglie sussurrano tra loro comunicando con un soffuso, delicato ed incomprensibile fruscio.

Se l’autunno nella mia testa è un espansione di rosso, di tramonti e foglie e l’inverno bianco di neve e brina, la primavera non può che essere gialla di fiori.

Viaggiando tra le pagine della memoria appoggio i piedi su metri di aria sconosciuta, è la potente e sensuale voce del Vento del Nord quella che parla e che sento per la prima volta, a tratti soffocante, un ululare prolungato, costante, un sottofondo sordo, leggero, sereno, sfrenato ma non rabbioso. Scompiglia i pensieri, sovverte il mondo, definisce il cambiamento, regala vita, dona movimento.

I fili d’erba e le coltivazioni deboli, cedono, si sottomettono, si piegano morbide e sinuose in onde dal movimento sincronizzato ed elegante, prima a destra e poi a sinistra, lentamente, scandendo i secondi, i passi. Il cappuccio invitato a ballare  sulle note di questo dolce e composto valzer ricade ancora ed ancora esanime, sconfitto, sulle spalle di quel corpo infreddolito ma felice, alleggerito dal peso dei pensieri, aggrappati ora a quell’atmosfera cupa e minacciosa di un cielo plumbeo che con un magico gioco di luci ed ombre promette tempesta, regalando un nuovo ed ingiustificato senso di pace e libertà.

Guardare la natura qui è come ammirare un’opera d’arte, una colorata e naturale tela di Mondrian, macchiata di graziose case dai tetti a graticcio che fioriscono qua è là in quei grandi prati così silenziosi, disegnati a tavolino con squadra e righello, puntinati di animali al pascolo.

E mentre il mio olfatto si lascia inebriare dai profumi della campagna, miscelandoli alla salsedine del mare mi lascio catturare, sedurre e comprare dall’idea di trovarmi nella sconfinata tela di un Dio impressionista. Colori inusuali, vivi, armonici, prepotenti e sensuali che mi si infilano sotto agli occhi e lì decidono di restare.

Anche ora, che siedo a casa al riparo da tanta bellezza, “prigioniera” di quella amata e scontata quotidianità, di quattro solide mura ed un soffitto, anche adesso, continuo a vedere tutto, a sognare, ad innamorarmi ancora ed ancora di quella terra chiamata Normandia.

 

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