Regina di fiori e di perle
RECENSIONI

Regina di fiori e di perle – Gabriella Ghermandi

Condividere la memoria che riguarda due popoli, senza omettere nulla né puntare il dito, ma far parlare le contraddizioni e, oltre quelle, guardare al futuro. Questo ho pensato dopo aver chiuso il bel romanzo di Gabriella Ghermandi “Regina di fiori e di perle” che racconta dell’occupazione italiana in Etiopia.

C’è una lacuna profonda nella storia italiana, un deficit di memoria che gli storici hanno raramente indagato e, in certi casi, hanno persino volutamente rimosso dalle loro cronache: si tratta dell’esperienza coloniale italiana perpetratasi dalla fine dell’Ottocento fino al termine della Seconda Guerra Mondiale, nel Dodecaneso, in Albania, in Libia, ma soprattutto nel Corno d’Africa.

Etiopia, 1935 – 1941.

E’ in corso l’occupazione fascista dell’unico pezzo di Africa rimasto indenne dal colonialismo. Un soldato italiano lascia il suo plotone per raggiungere il dentista di cui ha fortemente bisogno.

Abbandonata la strada percorsa dai camion militari e dai mezzi delle imprese impegnate a costruire le prime infrastrutture della colonia italiana, tenta una scorciatoia. Lungo il sentiero vede una donna. Nera. Bellissima. Che si lava in una pozza d’acqua.

Non parlano la stessa lingua, ma il militare le fa intendere le sue intenzioni. Durante la notte, in modo del tutto accidentale, l’uomo la uccide.

Così inizia “Tempo di uccidere (1947) di Ennio Flaiano, uno dei pochi e primi romanzi italiani a riflettere sulla nostra esperienza coloniale. Forse da quella donna il tenente ha contratto un male incurabile, e così inizia un errare folle, scomposto e febbricitante.

Dagli indigeni – che il tenente giudica essere esseri semplici, privi del senso del tempo e di moralità – apprenderà una lezione indelebile: non solo la saggezza, la bontà e il perdono ma anche la conoscenza della parte più oscura di sé.

E così alla fine i ruoli di colonizzato e colonizzatore si invertono.

E’ l’esperienza coloniale che rende così propenso al male e alle incomprensioni il tenente?

Questo Flaiano non ce lo dice.

Ma dove finisce Flaiano con “Tempo di uccidere” inizia Ghermandi con “Regina di Fiori e di Perle”.

Etiopia, tra il 1935 e il 1941.

Il paese non è tutto in mani italiane, come la propaganda del regime vuol far credere.

C’è una resistenza nascosta sulle montagne e nei boschi. Un gruppo di donne arbegnà si sta rifornendo d’acqua presso un torrente.

Sono armate e portano con sè Tariku, figlio della loro condottiera Kebedech Seyoum. Una di loro si lava nel torrente. All’improvviso compaiono due talian sollato e la donna imbraccia il fucile e spara. Li uccide entrambi.

Difficile non notare la specularità delle due scene: Gabriella Ghermandi parte da un romanzo coloniale, smonta i meccanismi e propone il punto di vista del colonizzato.

I fiori e le perle del titolo sono le storie che Mahlet, alter-ego della scrittrice, colleziona, le storie del tempo degli italiani, le storie dei vecchi partigiani, gli arbegnà.

Nel libro, l’incanto sta nello sguardo della narratrice e protagonista, una bambina affascinata dai racconti degli anziani.

Come Quentin Compson in Absalom, Absalom! di William Faulkner, Mahlet riceve i racconti di tutta la sua comunità, ne diventa la destinataria senza sapere bene perché – forse perché sa ascoltare senza interferire, forse perché nella sua sete di storie gli anziani leggono la possibilità di affidarle la missione di raccontare a sua volta.

Narrataria e narratrice, ricettiva ed espansiva, Mahlet sta al centro di un libro che è un tessuto di racconti e di ascolti; un quilt, mi verrebbe da dire, dove la forma di una cultura e di una vita appare gradualmente a mano a mano che i fili si intrecciano e che noi impariamo ad ascoltare e a guardare.

E’ la storia del percorso di formazione interiore di una bambina che si fa donna, di una fanciulla che cresce nel cortile protetto di una famiglia allargata ascoltando e spiando le storie dei grandi, ma poi va all’estero a studiare, prova la nostalgia e la lontananza che investe il migrante e torna per tenere fede a una promessa: quella di raccontare storie, di farsi cantora.

Il mondo che ci racconta Ghermandi è regolato dalle feste religiose, dai riti del caffè, dal susseguirsi delle stagioni, dal rispetto degli anziani. Le sue parole sono dominate da un linguaggio poetico che accarezza e avvolge, da metafore impensabili in italiano. Da una lingua italiana abitata dall’amharico.

Quello di Mahlet è un percorso di formazione interiore, un percorso spirituale, che conduce alla consapevolezza. Perchè farsi cantora è gesto di grande responsabilità, “parlare di qualcuno equivale a renderlo ospite” e l’ospite è sacro.

Ogni storia raccontata a Mahlet è una storia che ci racconta Ghermandi: quella del vecchio Yacob e quella di Abbaba Igirsà Salò, quella di Kebedech Seyoum e quella della signora della tartaruga. E quella di Mahlet, nata a Debre Zeit, “a cinquanta chilometri da Addis Abeba”, che nel 1991, anno della caduta di Menghistu, ha sedici anni.

Regina di fiori e di perle è un romanzo polifonico che conserva il senso dell’oralità attraverso la sua perfetta circolarità. E lascia a noi lettori la responsabilità del saper ascoltare.

“Regina di fiori e di perle” racconta la formazione di una giovane donna, la vita quotidiana e familiare in un villaggio, l’invasione italiana e la da noi sconosciuta resistenza etiopica, le difficoltà dell’incontro fra persone diverse, la dittatura “marxista” di Menghistu, la migrazione in un’Italia soffocante, il ritorno in Etiopia – storie drammatiche, fatti pesanti.

Ma non perde mai di vista la meraviglia e la bellezza, le perle e i fiori, appunto.

Noi italiani che dai libri di storia sistematicamente cancelliamo la memoria degli orrori del nostro colonialismo e dei nostri crimini di guerra abbiamo molto da imparare da questo libro e dai racconti di Gabriella Ghermandi.

Qui non manca niente di quello che dovremo sapere.

Senza pesantezze didascaliche, spesso collocandole ai margini della storia, il libro ricorda l’invasione italiana, la resistenza e la controffensiva etiopica; l’orrenda rappresaglia italiana di Debrà Libanos vista dalla prospettiva domestica di due giovani donne che lavorano per un ufficiale italiano; i gas usati dal nostro esercito, attraverso gli incubi di Yacob; le leggi razziali che vietano i matrimoni misti (preludio alle leggi antiebraiche del 1938) e rovinano un amore.

Una scena illuminante è quella in cui Yacob, che ha combattuto nella resistenza, incontra Daniel, il soldato italiano che ama sua sorella Amarech che da lui aspetta un figlio.

Daniel cerca di salutarlo con i gesti di riverenza che ha visto fare alla gente del posto – il busto inclinato, la mano porta in avanti con la palma in alto.

E Yacob gli risponde con un’intenzionale parodia del gesto europea della stretta di mano.

In questa fallita e squilibrata imitazione sono racchiusi sia il fallimento, sia la necessità dell’incontro.

La magia dell’autrice è questa: che il suo raccontare svela e contiene altre storie. Anche le nostre. Perdute e difficili da ritrovare. Ma se si continua a cercare, a frugare – come accade alla protagonista, Mahlet quando tuffa la mano nel misterioso baule del vecchio Yacob – qualcosa salta fuori: “un foglietto giallognolo con i bordi smangiucchiati” può essere l’inizio.

 

AUTORE: Gabriella Ghermandi

GENERE: Romanzo

EDITORE: Donzelli editore 2021

NUMERO DI PAGINE: 313

Acquistato online

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