
Un’anima a lungo fuori catalogo: Alba de Céspedes – Nessuno torna indietro
Si sa, talvolta, di tanto in tanto, qua e là, leggendo, navigando tra le pagine, attraversando lo spazio bianco tra le righe per incontrare il nero inchiostro delle parole accadono strani fatti, solitamente inattesi o casuali. Fatti che aprono i polverosi ed arrugginiti cassetti della libreria della memoria e fanno riaffiorare alla mente, all’improvviso, come lampi di luce nel nero della notte, nebbiosi ricordi… ricordi depositati lì… piccoli frammenti di vita, scatti, girati di pochi secondi, attimi rubati, strappati e salvati allo scorrere della vita da inscatolare e conservare, abbandonati o forse solo dimenticati.
Una sottile e ruvida pagina bianca, la prima di tante, un titolo e un autore solleticati appena dalla brezza fresca del mattino, accesi da un timido e pallido sole infantile divertito tra nuvole bianche di spuma, incorniciati da un paesaggio di primavera acceso di colori, profumi e vita. Accanto, il caffè caldo e fumante, quello dei primi, lenti risvegli.
NESSUNTO TORNA INDIETRO, sotto in piccolo, ALBA DE CÉSPEDES.
Poche parole, sei nello specifico, e l’occhio si arresta prima di voltare pagina. Il passato volteggia con il presente sulle note di “la letteratura è un sostantivo femminile” e con questa melodia di fondo che ha tutta l’aria del classico dimenticato e una matita incastonata tra le dita mi ritrovo a pensare.
I libri di Alba vorrei vederli tutti… in tutte le librerie, in bella mostra, in uno scaffale a lei e ad altre dedicato, dalla targhetta SCRITTRICI DEL ‘900 ITALIANO.
Ad oggi i ripubblicati sono ancora troppo pochi e il grosso della produzione si può trovare, sì, ma sui siti dedicati o in qualche ormai sempre più rara, magnifica ed indimenticabile libreria antiquaria e in tal caso approdano tra le sicure mura di casa non dei libri ma oggetti; preziosi gioielli, tesori del tempo da custodire e preservare.
È il ricordo a prendere il sopravvento …
Il primo romanzo di Alba che ho tenuto tra le mani, anni fa, da giovane lettrice, in un assolato pomeriggio di fine giugno, persa tra le chiassose ed animate bancarelle di un mercatino delle pulci di un piccolo paese di provincia, aveva le pagine vissute, consunte, ingiallite, imbrunite ai bordi, leggermente incurvate dall’umidità di qualche vecchia e affollata cantina di città, punteggiate di graziose lentiggini. La copertina, di un blu notte intenso, era sgualcita, segnata, ammaccata.
Un’immagine composta ritraeva otto giovani donne incorniciate da caratteri sinuosi ed eleganti, quelli di altri tempi.
Era un libro vissuto, odorava di libertà, di storia e di vite.
Chissà tra quante mani era passato, avevo pensato mentre lo osservavo con riverenza, invogliata invece a fogliarlo da un esuberante rivenditore dalla pipa tra i denti, impaziente di mostrarmelo … quanti occhi hanno incontrato le sue parole, quante vite ha dolcemente sfiorato e accarezzato.
Aveva sicuramente visto la guerra quel libro. Stampato a Verona nel 1941, così era riportato in piccolo, sulla pagina di fondo, particolarmente rovinata e segnata dove, a pie di pagina, compariva a china una dedica fine, insicura, inclinata leggermente a destra, semplice ma efficacie: “A Giulia” firmato Giovanni. Accanto un piccolo cuore pulsante, dai perfetti contorni tondeggianti.
Chissà cosa avrà voluto comunicare Giovanni a Giulia….
Andava preso e maneggiato con cura perché delicato e fragile, figlio di un tempo passato, ma allo stesso tempo trasmetteva la forza immensa di una donna straordinaria che quella stessa guerra l’aveva attraversata e vissuta, in prima linea, con la forza d’animo di un uomo, la profondità di una donna e la voce di Clorinda.
Voce che, attraversando il tempo, imprigionata dalla forza della testimonianza riecheggia in parole, imprimendosi tra le pagine della storia, tra le pieghe di una vita.
“Credete di non poter far nulla voi, chiuse nel giro della vostra vita consueta casa e ufficio, casa e ufficio. Credete! E invece, io vi dico che potete, voi, proprio voi, con il vostro grembiulino nero, davanti alla vostra macchina da scrivere, essere altrettanto utili di un patriota o di un soldato. A voi sono dettate certe lettere che avrebbero a volte tutt’altro significato con un piccolo errore di macchina, con una parola saltata e una data alterata… può essere più utile di dieci fucili! Sbagliare un indirizzo poi, è ancora più facile. Vi chiediamo un continuo, sordo, sabotaggio sotterraneo. Ricordatevi che per essere un patriota è necessario odiare i tedeschi e i fascisti … e voi li odiate, lo so! Ma dovete odiarli dal mattino alla sera, pensando, studiando continuamente il modo di nuocere loro.”
………….
“Miei cari ascoltatori, io mi domando spesso quale effetto abbiano su di voi le nostre parole. Talvolta, mentre prepariamo con entusiasmo il nostro programma, temo che qualcuno di voi stizzito chiuda la radio di scatto, mozzandomi in bocca una parola, esclamando: “parlano bene quelli lì, calmi e tranquilli a Bari, dovrebbero essere al nostro posto con i fascisti e i tedeschi, vederla da vicino questa maledetta vita!”. Se avete voglia di girare l’interruttore anche adesso vi prego aspettate un momento, ho molte cose da dirvi e solo pochi minuti a diposizione… “
Le pagine andavano appena sfiorate, sfogliate piano, con infinita delicatezza e tocco lieve con la paura in petto che al minimo tocco sbagliato si sbriciolassero, attraversando le dita come ruvidi granelli di sabbia.
E come lo scorrere di quei granelli di sabbia Alba ti entra dentro, in punta di piedi, con la grazia della ballerina classica, dal passo moderno e l’irruenza di un uragano.
Se leggi Alba diventi altro, quell’altro che ho avuto il piacere di incontrare e vivere tra le pagine.
Ti chiedi come hai potuto pensare di essere donna prima di conoscere lei. Lei che, noi ci ha conosciute tutte, una ad una. Ci ha silenziosamente esplorate, osservate, ascoltate, studiate, scandagliate nelle pieghe più profonde dell’animo. Ci ha attraversato come uno spirito e trasposte su carta con il suo stile poetico, ineffabile, senza tempo, pregno di acutezza, scevro di giudizio.
Le sue frasi scivolano come acqua fresca di un ruscello e ogni parola assume le sembianze di un sasso, levigato con cura e pazienza.
Alba ha scritto da donna libera dalla prima all’ultima riga.
È stata una maestra di libertà, di emancipazione, di coraggio, di lotta e di dignità.
Dopo averla incontrata attraverso le parole, la voce del verbo guardare si tramuta in osservare, lo sguardo si dilata, impara a scavare, a vede con altri occhi, occhi nuovi, occhi prima persi e ora ritrovati, i suoi.
È un punto di vista diverso quello di Alba de Cespedes. Un punto di vista troppo a lungo banalmente identificato dalla critica come “al femminile”. Semplice letteratura rosa, per molti. A dimostrare quanto, ancora una volta, le etichette vadano del tutto a svantaggio di quegli intellettuali e di quelle personalità troppo articolare, eclettiche per poter e dover appartenere a una categoria insegnando, a noi lettori e divulgatori, quanto poco sia salutare e utile parlare, diffondere e condividere contenuti, targhetizzando.
Ambientato tra l’autunno del 1934 e l’estate del 1936, Nessuno torna indietro racconta le vicende di otto giovani ragazze, quasi tutte ventenni, che hanno incrociato le loro vite nel collegio Grimaldi di Roma, dove tutte, per ragioni diverse, si trovarono a vivere.
Le otto protagoniste Xenia, Vinca, Emanuela, Augusta, Silvia, Milly, Valentina e Anna sono costruite e restituite al lettore con tratto sicuro, a tutto tondo, e si mostrano, con incredibile sicurezza, assolutamente coese nel comune desiderio di arrivare a costuire un loro futuro. Le loro vicende si intrecciano sullo sfondo dell’Italia fascista, attraversano il microcosmo del Convitto Grimaldi di Roma (elegante pensionato per universitarie che gli occhi della gioventù assume le forme di una prigione) e sfiorano le fasi cruciali della vita, portando ciascuna a prendere coscienza di sé e del proprio ruolo, diverso da quello che vorrebbe per loro la famiglia, la società e vicino incredibilmente a quello di donne libere ed emancipate.
Diverse per estrazione sociale, provenienza geografica e atteggiamento verso il mondo, le ragazze costituiscono le variegate e contraddittorie tessere di un mosaico, s’incastrano tra loro solo in maniera provvisoria, forzano gli angoli di un puzzle che, momentaneamente e gioiosamente, costituisce la vita comune nelle buie stanze del Grimaldi.
Le vicende di queste otto ragazze, a cui si aggiungono molti personaggi secondari, ugualmente rilevanti, ora si alternano e ora si amalgamano in una narrazione fitta, densa di dialoghi verosimili, che a mio parere rappresentano uno strumento straordinario e ancora assolutamente efficace e potente dell’acuta e attenta penna di Alba. Lo scollamento tra ciò che ognuna di loro è fuori dal Grimaldi e ciò che diventa tra le mura del collegio è particolarmente interessante, così come si delinea il divario molto presente tra i desideri delle singole e i condizionamenti sociali e/o familiari.
Spinte tra pulsioni amorose e desideri di emancipazione difficili da realizzare, se non arrivando a pesanti compromessi, le ragazze sono tutt’altro che serene, tranquille; anzi portano con sé un’inquietudine figlia dell’età ma anche del tempo storico.
I destini incrociati che le vedono accomunate nella ricerca di sé stesse si dipanano sulla pagina senza sconti o sbavature di sorta. Il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, il salto dalla vaporosità dei sogni alla vita di ogni giorno è riassunto perfettamente nella metafora del ponte, che connota con precisione il debole rapporto tra passato e futuro:
«Ecco: è come se noi fossimo al passaggio di un ponte. Si costruiscono forse case sul ponte? Siamo già partite da una sponda e non siamo ancora giunte all’altra. Quello che abbiamo lasciato è dietro le nostre spalle, neppure ci voltiamo per guardarlo, quello che ci attende è una sponda dietro la nebbia. Neppure noi sappiamo cosa scopriremo quando la nebbia si dissiperà. Qualcuna si sporge troppo per vedere il fiume, cade e affoga. Qualcuna stanca, si siede a terra e resta lì sul ponte. le altre, quale bene quale male, passano all’altra riva».
La pensione convento che funge da dormitorio è, per le ragazze, quel ponte che segna il passaggio da una fase della vita a un’altra, è elemento di rottura e insieme collegamento all’estremo del quale, appunto, nessuno torna indietro.
«Tutti vorrebbero ricominciare. Ma gli atti che ci hanno accompagnato fin lì sono alle nostre spalle, attraverso la strada, a fare da argine. E indietro non si può tornare, nessuno torna indietro. È la più inesorabile forma di eguaglianza di tutti gli uomini di fronte alle leggi della vita».
Alba de Céspedes non teme la complessità delle donne, delle psicologie, né la sostanza delle esperienze, anzi ne gestisce la narrazione con destrezza mostrando di padroneggiare l’animo umano e la scrittura in modo consapevolmente moderno. Punti di vista alternanti, flashback improvvisi, tempo del racconto e della storia che spesso coincidono come in una pièce teatrale. L’autrice costruisce i suoi personaggi con l’intento di servirsi di essi come strumenti per mettere in crisi le dinamiche di genere dell’epoca, scuotere l’immagine della donna come moglie e mamma ideale confinata tristemente nell’ambito-prigione della vita domestica.
L’autrice volteggia tra l’incanto e il disincanto della narrazione con uno stile che non si limita a raccontare ma che scava a fondo nel sentimento, nell’emozione, nella solitudine, nella contraddittorietà del pensiero, nella profondità psicologica di un io femminile spesso trascurato, oscurato, soffocato e dimenticato. È un romanzo che non ha paura dell’inevitabile aura femminile che emana, e tale coraggio si riversa sulle pagine, nella ricchezza, nella forza, nella potenza e nella bellezza della sua prosa.
De Céspedes parla una lingua cristallina, elegante e cesellata fino allo sfinimento; la magia è questa… la perfezione che caratterizza l’uso chirurgico della parola il lessico accurato puro e mai chiassoso o fuori posto, nella sua rigorosa essenzialità non arriva mai a raffreddare o intiepidire il linguaggio conservando al lettore la bellissima possibilità di empatizzare con le protagoniste, di soffrire ed immedesimarsi nelle loro scomposte anime.
Ci sono volti che non appartengono ad un luogo, ad un’epoca, ad un tempo ma sono di tutti, di chiunque abbia la voglia di incontrare e conservare, Alba è uno di questi! E mentre seduta in terrazza, di fronte all’inespressivo monitor di un computer, impegnata a restituirvi emozioni di lettura, rivivo tra le pagine della memoria la vita di ognuna di queste giovani, forti e coraggiose donne, pioniere di diversità e libertà, la sua impeccabile figura di signora di mezza età, sempre pettinata, sempre composta, sempre con la sua sigarette fumante tra le dita siede in mezzo a noi, tra di noi, viva, vivissima, corporea nella riproducibilità delle immagini televisive del tempo, nei datati e nostalgici video RAI, che mi consentono ad oggi di immaginarla ancora lì, sorridente, seduta alla sua scrivania, nel suo studio a rispondere a domande sul contenuto dei suoi libri. E mentre la teniamo tra noi, la cerchiamo e la ritroviamo incontrandola ancora e ancora tra le pagine dei suoi scritti la voglia di definire “una mappa dettagliata delle emozioni e dei sentimenti” si veste di nuovo significato, sboccia, fiorisce ridefinendosi, prendendo nuovo corpo e nuova forma.
Le prime immagini si materializzano, un filo di fumo sale dal portacenere, Alba entra con una tazza di caffè nelle sue mani ben curate.
E la scrittura inchinandosi riprende vita….
AUTORE: Alba de Céspedes (DOCUMENTARIO RAI STORIA )
GENERE: Narrativa
EDITORE: Mondadori 2022 (collana Oscar Moderni) – pubblicato per la prima volta nel 1938 in Italia da Mondadori.
NUMERO DI PAGINE: 306
NOTIZIE: La prima edizione 17 dicembre 1938 andò esaurita in una settimana e già il mese successivo vide una sua ristampa. La censura fascista riuscì ad escludere il romanzo dal Premio Vareggio del 1939: con l’opera de Céspedes aveva vinto il premio di quell’anno ex aequo con Vincenzo Cardarelli ma la decisione della giuria fu annullata per ordine di Mussolini a causa dei precedenti politici antifascisti della prima e del reiterato mancato rinnovo della tessera d’iscrizione al partito del secondo. L’opera è stata tradotta in ventidue lingue, fra le quali il tedesco, lo spagnolo, il giapponese, il russo, il norvegese, lo svedese, il finlandese, il rumeno, il bulgaro. Da questo romanzo sono stati tratti l’omonimo film di Alessandro Blasetti del 1943 e l’omonimo sceneggiato di Franco Giraldi del 1987.
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