Dove non mi hai portata- Maria Grazia Calandrone
RECENSIONI

Dove non mi hai portata – Maria Grazia Calandrone

Apro così Settembre e questo diario di personali riflessioni letterarie con una citazione!

Un breve richiamo ai cassetti della memoria affollati di pagine rapite e scomposte desiderose di riaffiorare, dialogare, prende luce e colore.

Nella premessa a “Figlie e madri”, la grande e conosciuta scrittrice Joyce Carol Oates sceglie come esergo i versi di Anne Sexton:

 “Una donna è sua madre/ Questo è l’essenziale”.

Il silenzio sospeso, racchiuso dallo spazio vuoto di pura tradizione editoriale, animato visivamente sulla pagina dall’assenza di forma, di caratteri, delinea e accende i contorni timidi e sfumati di un dubbio…

No, «una donna non è sua madre», riflette Oates a pochi caratteri di distanza, e tuttavia «questi versi secchi e dogmatici» le continuano a risuonare chiassosi nella mente «come una maledizione o una benedizione, come una spiegazione o un mistero».

È in quella posizione di mezzo data dall’incertezza di una presa di posizione netta, sicura, nella mancanza di aggrapparsi a una verità assoluta, che nel lettore si concretizza la ragione del perché «madre» continua a essere «oggetto di una riflessione incessante e frustrante» come sembrano indicarci i numerosi testi, soprattutto romanzi, di autrici (ma anche autori), apparsi negli ultimi tempi in Italia.

Con le sue luci e ombre, la figura materna è infatti al centro dell’ultimo romanzo di Maria Grazia Calandrone.

“Di mia madre, ho soltanto due foto in bianco e nero. Oltre, naturalmente, alla mia stessa vita e a qualche memoria biologica, che non sono certa di saper distinguere dalla suggestione e dal mito.”

Scrivo questo libro perché mia madre diventi reale. Scrivo questo libro per strappare alla terra l’odore di mia madre. Esploro un metodo per chi ha perduto la sua origine, un sistema matematico di sentimento e pensiero, così intero da rianimare un corpo, caldo come la terra d’estate e altrettanto coerente”.

Inizia così “Dove non mi hai portata”, con una timida, biologica e scientifica dichiarazione d’amore, fonte di vita, filo d’Arianna nel labirinto della realtà, nelle sue profonde lacune, filo rosso che cuce insieme fatti da raccogliere per formare, costruire e consolidare lo spazio intimo di una fragile memoria.

Per chiudersi nell’abbraccio risoluto di una convinzione.

“L’amore di Lucia per me, a me in persona sicuramente e semplicemente destinato, sta nel non avermi portata con sé nella morte, sta nel dove non mi ha portata e nel suo avermi riconsegnata alla vita. Alla vita di tutti. Facendo, della mia vita, fin dalle sue origini, vita che torna a tutti”.

In mezzo una pagina di cronaca…

Roma, giugno 1965. Una neonata bruna di otto mesi viene ritrovata, seduta su una coperta, sul prato antistante i propilei monumentali che segnano l’accesso a Villa Borghese da piazzale Flaminio. Quello stesso pomeriggio estivo, Lucia Galante e Giuseppe Di Pietro, i due genitori della piccola, dopo aver affidato la loro bambina «alla compassione di tutti», decidono di compiere un gesto ancora più estremo: togliersi la vita gettandosi insieme nelle acque del Tevere.

Cerco allora nella commozione che ancora mi pervade il giusto ordine alle parole.

La giusta distanza, necessaria a raccontarvi questa storia che trascina in sé il peso ed il dolore della verità. Una verità che l’autrice ricerca in maniera lucida, maniacale, trattenendo “il cuore accanto”: né troppo dentro a confondere, né troppo lontano a dimenticare.

Quella di Calandrone è un’operazione di ricostruzione biografica, un’indagine minuziosa, attenta e capillare, chirurgica, condotta attraverso il reperimento e l’analisi di fotografie, documenti d’archivio, lettere pubbliche e private, pagelle scolastiche, carte d’identità, cartelle cliniche, l’ascolto di parenti e testimoni. La scrittrice ricorre ai dati satellitari per mappare gli spostamenti fisici della madre, osservarne gli itinerari, misurare le distanze percorse a piedi, mentre si affida all’immaginazione per tracciare l’andirivieni psicologico che solca emozioni, sentimenti, paesaggi – umani e geografici – descritti con nitidezza fotografica e sguardo socio-antropologico.

Seguendo una geometria di ricerca personale, scientifica e scrupolosa, la scrittrice traccia un percorso che trasponendo dalla vita alla scrittura muove dal perimetro famigliare, chiuso, agricolo e patriarcale di Palata, piccolo paese del molisano dove la madre era nata, e da lì si sposta per segmenti composti e ordinati, a lunghezza variabile, tracciati con meticolosa precisione.

Segmento dopo segmento, un passo alla volta, nella frammentarietà della ricerca, delle fonti, della testimonianza, nella ricostruzione di un ordine la scrittrice approda a Milano e poi a Roma, posando occhi e orecchi sul respiro affannato delle grandi questioni irrisolte di un’Italia misera e spersa ancora vent’anni dopo la fine della guerra.

L’autrice scava, con sensibilità e zelo archeologico, tanto nell’animo dei personaggi quanto fra le pieghe della Storia, Storia che fa da cornice robusta e invadente agli eventi narrati. Le vicende personali di Lucia sono, infatti, ricostruite in seno al contesto rurale e contadino del borgo molisano di Palata e si intersecano con i grandi avvenimenti del Novecento: le guerre d’Africa nazifasciste, il boom economico postbellico, l’industrializzazione e l’abbandono delle campagne, l’immigrazione interna verso il Nord, l’emigrazione in America e l’incipiente globalizzazione del Paese.

Un mosaico di eventi storici e contesti socioculturali che interferisce attivamente nella vita di Lucia e Giuseppe, determinandone l’ineluttabile destino.

Da un paio d’anni la terra promessa dei palatesi è infatti Milano.

Sono partiti in tanti, verso la metropoli della ricostruzione, che pompa a pieno ritmo di motori inossidabili, condensatori e gruppi elettrogeni dentro il miracolo economico.

Se ne vanno ubriachi di speranza, con le stente e logore valigie.

Tra i vicoli sempre più vuoti del paese, il toponimo aleggia come una morgana benigna e piena di lusinga: Milano…

Quell’anno, la canzone vincitrice della prima edizione del concorso «Un disco per l’Estate» è “Sei diventata nera” dei Los Marcellos Ferial.

A vincere e riecheggiare era l’umore generale del paese, scanzonato e allegro. L’invito a vivere e assaporare un’epoca tutto sommato serena.

Sono gli anni del twist, i giovani hanno fretta: se il futuro non arriva qui, andiamocelo a prendere!

Ovunque  esso sia.

La città luccica nell’immaginario comune… mentre Lucia Galante e Giuseppe Di Pietro restano ovunque il prototipo perfetto degli esclusi, di coloro per cui l’ora non batte mai all’orario giusto.

In un mondo in crescente evoluzione, fatto di famiglie semplici cresciute con i valori della tradizione ed  educate con gli elettrodomestici nuovi fiammanti, che si riuniscono al tavolo della cena tra coniugi spesso infelici e figli giunti secondo le regole dellEnciclopedia della Donna, dove la trasgressione più declamata era aspetto un Philco, il loro amore sbagliato, reo, tardivo, sconsacrato, scandaloso, veniva reietto, respinto, nascosto.

Una storia biografica, questa, che nella culla della scrittura diventa collettiva (e oggi, in alcune realtà ancora attuale), un romanzo sussurrato e urlato al tempo stesso, atto d’amore e di dolore, capace di restare incollato addosso anche a distanza di mesi.

In queste pagine Maria Grazia Calandrone ha compiuto la più meritoria delle operazioni che si chiede alla cultura, alla letteratura, all’arte: restituire verità alla vita dimenticata, trascurata, abbandonata.

Consegnando ai lettori un romanzo sui e degli anni Sessanta.

Di quei romanzi infatti ha il respiro, il suono, il profumo.

Pratolini, Moravia, con piccolissimi impalpabili accenni a Pasolini.

Un romanzo che riscrive ancora una volta le consolidate e tradizionaliste regole della imperante autofiction.

Indagine poliziesca, cronaca, memoir, romanzo di formazione: tutto legato e racchiuso in 247 pagine incredibili.

L’elemento storico, l’immaginato, la testimonianza, il passato e il presente si ingarbugliano sfidando i sentimenti del lettore.

Con ago e filo, i tanti filoni sotto la penna della scrittrice vengono sapientemente cuciti e il puzzle ricomposto … le digressioni si uniscono alla storia intima di una grande madre, così come la profondità delle liriche comunica con la rigida freddezza dei dati storici.

Ci troviamo così fra le mani uno scritto puro e intimo, in cui prosa e poesia si fondono, confondono, per restituire una descrizione accurata dei personaggi, dei paesaggi e degli ambienti, che prendono a loro volta forma con la ricostruzione dei fatti.

Una prosa evocativa capace di suggerire visioni vivide al lettore, dare corpo a luoghi, gesti e azioni, e infondere soffio vitale a ciascuno dei personaggi della storia.

La lingua e il periodare rispecchiano nel loro ritmo poetico gli affetti e le emozioni.

È in questo che si distingue la poesia della narrativa della Calandrone in quella particolare ed inusuale commistione di forme e sensi che in tanti citano quando scrivono di lei e che si affaccia sul foglio soprattutto nelle parti in cui Lucia è la ragazza confinata negli spazi di un paese troppo piccolo e di un matrimonio senza amore. Con lei dialogano la natura, i santi in processione, i falò, i canti popolari, i pezzi di terra su cui si costruiscono le case di campagna.

E pare quasi di vederla.

Ci vuole coraggio a riscrivere da adulti la morte di un genitore vestendola di nuovo significato, spogliarla dalla violenza che l’ha attraversata e riconsegnarla alla vita.
Ci vuole equilibrio per affidare se stessi agli altri, a quello che ci hanno lasciato.

Ed è racchiuso lì il senso della reciprocità del nostro strano vivere in questo mondo: Lucia con il suo abbandono ha salvato Maria Grazia, Maria Grazia con questo libro ora salva Lucia.

“Vengo a prenderti, adesso che ho il doppio dei tuoi anni e ti guardo, da una vita che forse hai immaginato per me. Adesso vengo a prenderti e ti porto via. Lucia, dammi la mano”.

 

 

AUTRICE: Maria Grazia Calandrone

Maria Grazia Calandrone – Sito ufficiale

Intervista alla scrittrice

Mia madre, un caso di cronaca – un PODCAST di Rai Radio 3 – Maria Grazia Calandrone

GENERE: Romanzo autobiografico

EDITORE: Einaudi 2022 (Supercoralli)

NUMERO DI PAGINE: 256

INFORMAZIONI: Proposto da Franco Buffoni al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:


«Propongo la candidatura del romanzo “Dove non mi hai portata” di Maria Grazia Calandrone, Einaudi 2022, per il Premio Strega 2023 per due fondamentali motivi: la tenuta stilistica che non viene mai meno nelle 247 pagine del volume; la capacità dell’autrice di coinvolgere il lettore in una vicenda storica e umana al calor bianco. Già due anni fa con “Splendi come vita”, edito da Ponte alle Grazie, Maria Grazia Calandrone aveva visto pienamente riconosciute le proprie doti di narratrice, ben figurando nella dozzina del Premio Strega. Con questa nuova prova narrativa l’autrice, ben nota da decenni come indiscutibile voce poetica, non solo conferma le qualità di narratrice di razza allora poste in luce, ma le corrobora con una magistrale ricostruzione storica dell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta: riuscendo a ricostruire ambienti e situazioni (il Molise rurale, la periferia milanese in pieno boom economico, Roma magica di altera e sconsolata bellezza) in modo altamente poetico pur se finemente realistico, e dando dei propri genitori biologici tesi verso una tragica fine un ritratto nitido, al contempo profondamente partecipe, ferocemente oggettivo e emblematico nella sua attualità.»

 

Con 71 voti si è classificato QUARTO tra la cinquina finale dello Strega 2023

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