La linea del colore
RECENSIONI

La linea del colore – Igiaba scego

Ho letto il romanzo di Igiaba Scego, “La linea del colore” tutto d’un fiato e con il desiderio di ricominciare da capo.

Sono come rimasta prigioniera, piacevolmente ma razionalmente prigioniera, in questa storia, anzi in queste storie che si rincorrono, si riagganciano in un per sempre che mette ciascuno di fronte a sé stesso.

Ho quasi cominciato la mia estate di letture proprio con questo romanzo. Da allora mi sono ritrovata più volte a consigliarlo.

La linea del colore è un mosaico, un insieme di minuscole tessere che, giustapposte le une alle altre, creano un’immagine.

La storia si dirama su due piani temporali differenti: il 1887, anno della strage di Dogali, quando in Eritrea, terra lontana, cinquecento italiani perderanno la vita nella folle smania colonialista; e il nostro presente, nel quale l’abbattimento delle frontiere e la libertà di movimento sono privilegi sono per chi nasce nella parte giusta del mondo.

Igiaba Scego dà voce a tre figure centrali di donne lontane fra loro dal punto di vista temporale e geografico, ma unite da una linea storica e accomunate dal problema di vivere un mondo non fatto su misura per loro: Lafanu, Leila e Binti.

Ancora una volta, tre personaggi femminili le cui storie collegano tre continenti Africa, America e Europa, talvolta come se non ci fosse l’oceano ed i mari a separarli e, altre volte, facendo i conti con delle barriere impervie e delle frontiere invalicabili.

Le loro vite uniscono e sovrappongono tre grandi blocchi storici: colonialismo, post-colonialismo e neo-colonialismo, insieme ai flussi migratori e alle delocalizzazioni di culture che li hanno accompagnati. 

La protagonista principale è Lafanu Brown, di cui seguiamo quasi l’intera esistenza. Sfugge più volte ad un destino che la vita sembra averle fatalmente imposto nel momento della nascita, non solo cogliendo una serie di occasioni, ma anche mossa da una forza di volontà e determinazione che la definiscono una fervente femminista ante litteram, impegnata certamente nella libertà e nell’indipendenza personale ma che si proietta sulla condizione di un’intera classe sociale.

Lafanu, ancora giovanissima, subisce una violenza indelebile in un angolo remoto dell’America aspramente segregazionista e razzista; tuttavia, anziché sprofondare nello sconforto e nella rassegnazione di un’inferiorità sancita da regole sociali, coglie l’opportunità e l’aiuto della sua benefattrice per intraprendere una specie di Grand Tour d’oltreoceano, arrivando a Roma per studiare e consegnare la sua vita integralmente all’arte come una forma di esternazione del proprio dolore e di profonda resistenza.

La Roma di Lafanu è quella dell’Italia appena post-unitaria, fatta di una popolazione che fatica a costruire la propria identità sotto la stessa bandiera nazionale, cercando di saldare insieme territori che fino a poco tempo prima erano stati entità socio-politiche a sé stanti, con la parte inferiore dello stivale immerso nelle acque del “problema del mezzogiorno”.

Lafanu Brown personaggio di fantasia, nasce dall’unione di una scultrice, Edmonia Lewis, e di un’ostetrica, Sarah Parker Remond. Due donne sui generis per il contesto storico-culturale in cui vissero. Attiviste nella lotta contro la schiavitù, donne libere ed emancipate.  Donne indipendenti, fiere, orgogliose e sicure al punto tale da viaggiare da sole pur di raggiungere i loro obiettivi, affrontando e superando tutte le vicissitudini legate alla loro condizione di donne di colore e riuscendo a valicare confini e barriere determinate da identità di genere, appartenenza sociale o religiosa.

Lafanu Brown è un mix tra queste due donne, ma la sua indipendenza, quanto meno economica, è legata a coloro che la sostengono pur avendo un colore della pelle diverso dal suo.

Poi appare Leila, la donna del presente, italiana di nascita e di cultura, figlia di emigrati somali. È una curatrice d’arte e si appassiona alla storia di Lafanu fino ad inseguirla in uno spazio metafisico, come se fosse una sua sorella perduta accidentalmente troppi anni addietro, con la quale sente di essere emotivamente ed affettivamente legata.

Scorrendo le pagine del romanzo, in terza posizione c’è una storia che occupa decisamente meno spazio delle altre, ma che apre un capitolo enorme di letteratura e di storia contemporanea, ovvero quella di Binti. Cugina di Leila, anche lei giovane donna del presente, che fugge dalla Somalia contemporanea per intraprendere un viaggio verso l’immaginata e desiderata Europa, sogno di libertà, dove però il biglietto da pagare per oltrepassare la terra di mezzo è un riscatto di vita o di morte, che fa scalo in una prigione fatta di violenza, corruzione e denigrazione.

L’intenso libro di Igiaba Scego è pervaso dai colori: quelli vivi e sfacciati dell’assolato Sud America, le calde tonalità africane, le nuances popolari della campagna romana.

Ma il colore predominante, presente in ogni singola pagina, è certamente quello della pelle delle due protagoniste.

Quel nero che in tempi passati disumanizzava esseri umani, li rendeva inerti e privi di diritti, oggetti, compravenduti e posseduti, al pari delle bestie.

Quel nero che, incredibilmente, ancora oggi provoca sospetto, resistenze. Ingiustificata ostilità.

Abbiamo abolito la schiavitù.

Abbiamo riconosciuto dignità a tutti gli esseri umani.

Abbiamo siglato dichiarazioni ed elenchi di diritti inviolabili.

Eppure, quel colore continua a rappresentare, in un modo più subdolo, e per questo più complicato da stigmatizzare, un marchio indelebile di infamia, capace di condizionare il futuro di chi lo possiede.

Ci siamo tutti dentro questo romanzo, con tutte le nostre difficoltà, diversità e diverse tonalità di pelle, afro-discendenti e caucasici, cittadini di ex-colonie e di decaduti imperi coloniali, emigrati e migranti, donne e uomini. Ci sono le esperienze di identità, ma anche gli occhi chiusi di chi si rifiuta di vedere le mille sfumature della realtà nascoste sotto macigni di pietra culturali. 

La linea del colore è proprio qualcosa di sottile che allontana ed unisce, che appare e scompare, è la preziosa arte di Lafanu, la spasmodica ricerca di Leila e il folle sogno di Binti. Il colore è un nesso storico, un modo di vedere, è un’interpretazione, ma anche un elemento totalizzante, è un pesante limite che talvolta può comportarsi come una frontiera sbarrata.

La linea del colore è anche quella scrittura ricca e acuta in grado di stendere precise pennellate per far emergere i ritratti di quella gente che si confonde, perdendosi nelle folle, nelle foto, è l’arte di far parlare gli individui nascosti dietro i primi piani.

 

AUTORE: Igiaba Scego

GENERE: Fiction storica

EDITORE: Bompiani 2020

NUMERO DI PAGINE: 367

Acquistato Online

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