Niente di nuovo sul fronte occidentale
RECENSIONI

Niente di nuovo sul fronte occidentale – Erich Maria Remarque

«La professoressa mi ha assegnato da leggere un libro di una scrittrice che si chiama Maria Remarque»: così esordii scocciata davanti agli occhi sgranati e rimproveranti di mamma, tornando a casa da scuola quel freddo martedì di gennaio di ventun’ anni fa.

Avevo 12 anni, facevo la seconda media, il Natale era appena passato e la maestra aveva dato il peggiore dei compiti: leggere un libro a casa.

Che orrore incommensurabile!

Non ero una fan delle letture obbligate! Mi ero un po’ “sciolta”, facendo pratica tra i gioiosi e spensierati banchi della 5A ma non ero ancora convinta del tutto.

Facevo un sacco di storie quando le maestre mi obbligavano a leggere, ma poi bastavano due parole ed ero completamente rapita.

A Natale del 2001 avevo ricevuto in regalo il mio secondo libro di Mario Rigoni Stern e un libro di Louisa May Alcott che erano le mie due vere grandi e infinite passioni del momento, che mi toccava accantonare per questa Maria Remarque…

Scoperto che era un uomo, e non una donna, mi ritrovai tra le mani un libretto della piccola biblioteca di paese, un Oscar Mondadori (n. 30, XIII ristampa, gennaio 1987, trad. di Stefano Jacini) dalla copertina inquietante – firmata dal celebre illustratore di origini ungheresi Ferenc Pintér – che parlava di ragazzi in guerra.

Lo odiavo con tutta me stessa , ma quel 29 gennaio 2002 – ho tutto registrato! – esattamente un giorno dopo aver finito “Un capitano di 15 anni di Verne, mi toccò iniziare la lettura.

Siamo a riposo, nove chilometri dietro il fronte. Ci hanno dato il cambio ieri; oggi abbiamo la pancia piena di fagioli bianchi con carne di manzo, e siamo sazi e soddisfatti.

No, non era Jules Verne e nemmeno “L’isola del tesoro di Stevenson.

Per carità, negli anni 2000 i ragazzini potevano morire e lo facevano abbondantemente, da “Incompreso” a “I ragazzi della via Paal, quindi per me era normale leggere storie di morte: semplicemente quella non l’avevo scelta e quindi per principio la detestavo.
Lessi quelle prime righe due o tre volte, impuntandomi sul fatto che non le capivo: un semplice insensato, testardo ed infantile capriccio per cercare una scusa per non leggere oltre.

Come potete facilmente immaginare alla seconda pagina ero conquistata.

Remarque colpì duro e a fondo: dopo 5 giorni di lettura e rilettura la mia vita di piccola acerba lettrice era cambiata.

Non sono più riuscita a leggere Verne: cercavo qualcos’altro da un libro, ero cambiata!

Pur senza rinnegare una sola meravigliosa riga letta del grande e fantasioso Jules, Remarque era diventato il mio nuovo scrittore preferito.

Nel programma della quinta classe di Liceo, un bravo professore di storia consiglia di leggere “Niente di nuovo sul fronte Occidentale”. Il suggerimento viene ovviamente dalla congiunzione del tema del romanzo con il programma scolastico: la Prima Guerra Mondiale. 

Quando ero al liceo nessuno mi aveva consigliato la rilettura di questo libro. Da sola lo avevo tolto dallo scaffale della piccola biblioteca “sgarrupata” della mia scuola. Avevo cominciato a rileggerlo, ripescando tra i ricordi il tardivo entusiasmo della preadolescenza, ma gli anni non erano quelli adatti.

Chiusi il libro e ne rimandai la lettura.

Con questo anniversario dell’11 Novembre il tempo è arrivato.

Centoquattro anni sono molti numericamente e soprattutto in un arco di tempo tra il Novecento e il Duemila dove molto ancora è accaduto, eppure il risveglio di quel ricordo, purtroppo, ci circonda ancora nella nostra quotidianità.

La chiamano la prima guerra moderna, per come si è svolta (armi utilizzate, strategie, novero disparato di soldati e civili coinvolti) ma soprattutto per aver cambiato irreparabilmente il nostro modo di vivere, da quella generazione in poi; per aver portato l’odore della guerra più vicino, con le sue paure, gli orrori, la morte, la distruzione di tante culture e tanta bellezza, arrivando ad un punto di non ritorno, perché da lì l’umanità intera non ha più vissuto nell’illusione.

Questa si è aperta in una voragine dove il passato (con i suoi concetti e precetti) è sprofondato portandosela dietro.

Erich Maria Remarque, scrittore tedesco tanto attaccato alle sue origini francesi da cambiare il secondo nome e il cognome nel corrispettivo transalpino, fu l’esempio più lampante di questa umanità che a fine guerra si ritrovò spaesata e ferita nel suo tessuto sociale.

Partito soldato nella Grande Guerra su uno dei fronti più duri e sanguinosi del conflitto, quello nordoccidentale francese; pur sopravvivendo fortuitamente, non riuscì mai a superare l’evento tragico della guerra che lo portò in uno stato di profonda depressione e debolezza psicologica.

“Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale” nacque appunto come sfogo e liberazione di quel passato vissuto, che solamente nella scrittura poteva trovare il suo momento catartico.

“Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale” venne pubblicato curiosamente nel 1929, lo stesso anno di “Addio alle Armi” di Ernest Hemingway e diversamente dal romanzo dello scrittore americano, il primo risulta una sorta di diario immaginario, un’amara analisi delle spaventose distruzioni materiali e spirituali apportate dalla guerra, e insieme una cronistoria degli sviluppi sulla scena bellica di un giovane soldato tedesco.

Paul Bäumer, diciottenne studente tedesco, parte volontario in guerra insieme ad una parte della sua classe, incalzato dal fervore patriottico del suo insegnante, spinto dall’entusiasmo di un’intera nazione promotrice della causa.

Bäumer mette a nudo una vita militare di logoramento fisico e psicologico dell’uomo; i suoi bisogni primari, la fame, il sonno, quelli puramente fisiologici e quelli interiori: la rabbia, a volte la ribellione, la disperazione di vivere, la follia, il sentimentalismo che lo porta per un istante nel ricordo di quando una volta si credeva nell’avvenire.

Gli affetti, le belle letture, i grandi filosofi e le operazioni algebriche, quello che hanno imparato sui banchi di scuola, non contano più nulla, non servono più a nulla.

A scuola invece nessuno ci ha insegnato come si accenda una sigaretta sotto la pioggia e il vento, come si faccia prendere fuoco a un fascio di legna bagnata; oppure anche che la baionetta a uno conviene cacciargliela nella pancia, perché lì non resta conficcata come tra le costole.”

Mentre fuori, al sicuro dal fragore della guerra e dalla morte alle calcagna, si scopre tutto il cinismo, l’egoismo di una borghesia con i paraocchi che la verità non vuol vedere.
Il giovane soldato prova pietà per i propri nemici e riflette sull’inspiegabilità della guerra che pone fratelli contro fratelli, giovani contro altri giovani, per qualche pezzo di terra in più.

E quand’anche l’ultimo sentimento che lo teneva avvinghiato alla preziosità della vita verrà spazzato via, Paolo Bäumer, ormai solo, riuscirà a guardare solamente dritto di fronte a sé: né più al passato né più al futuro.

Due cose mi hanno colpito, leggendo “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Erich Maria Remarque subito dopo aver terminato la lettura di “Un anno sull’Altipiano” di Emilio Lussu. L’uguaglianza delle esperienze e la differenza di consapevolezza politica. Perché, in “Niente di nuovo sul fronte occidentale, non si discute mai di strategie belliche, mai si mettono in dubbio gli ordini o si parla dei superiori. Soltanto una volta i ragazzi parlano – o meglio, chiacchierano – della guerra. Sono discorsi da ragazzini, che hanno la profonda saggezza dell’innocenza- che cosa vuol dire che una nazione ne attacca un’altra? Che cosa è una nazione?

Loro non hanno niente contro i francesi.

Ci sono otto anni di differenza tra l’Emilio che viene mandato a combattere sull’Altipiano e il diciottenne Paul (Erich Paul Remark è il vero nome dello scrittore tedesco) che lascia la scuola per arruolarsi insieme ad altri sei compagni, infuocati dalle parole di un insegnante.

Otto anni che spiegano questa mancanza di consapevolezza e che, d’altra parte, rendono ancora più dolorosa la somiglianza delle esperienze. Sono partiti per una grande e gloriosa avventura, gli studenti diciottenni. Incontreranno forse l’avventura, che però non sarà né grande né gloriosa.

E’ diverso il paesaggio della guerra di Paolo da quello del Carso di Emilio;  Paolo è nelle piatte Fiandre ma piove all’infinito, come sul Carso. La vita nelle trincee è uguale, uguale il misero rancio, uguali i pidocchi, la paura, il freddo, il sentire il cambiamento inesorabile che l’essere continuamente esposti alla morte opera dentro di loro.

Alberto trova la formula: “E’ la guerra che ci ha reso inetti a tutto”.  Ha ragione: non siamo più giovani, non aspiriamo più a prendere il mondo d’assalto. Siamo dei profughi, fuggiamo noi stessi, la nostra vita. Avevamo diciott’anni, e cominciavamo ad amare il mondo, l’esistenza: ci hanno costretto a spararle contro. La prima granata ci ha colpiti al cuore; esclusi ormai dall’attività, dal lavoro, dal progresso, non crediamo più a nulla. Crediamo alla guerra. 

Mi sono commossa rileggendo i capitoli sulla licenza del protagonista per il pudore, la delicatezza, l’ostinazione con cui chi resta a casa cerca di proteggere chi torna dal fronte, e viceversa.

La licenza è una parentesi crudele, avvelenata dall’amaro della partenza e dall’incertezza del ritorno.

Una fragile e delicata bolla emotiva.

“E’ terribile, vero, laggiù, Paul?
Mamma, che cosa dovrei risponderti? Non capirai, non potrai mai capire. Non devi capire. Mi chiedi se è terribile, mamma. Io scuoto la testa e rispondo: No, mamma, non tanto. Siamo in tanti, non è così male…”

“Che ne sarebbe di noi, se avessimo chiara la visione di ciò che avviene laggiù!”

“Oggi mi accorgo che senza rendermene conto mi sono logorato. Non mi sento più a mio agio qui; è un mondo estraneo. Alcuni mi interrogano, altri noi, ma in faccia a questi ultimi si vede che se ne fanno un merito; anzi qualcuno dice, con aria da saggio, che non si deve parlare. E’ tutta ostentazione.”

“Come può esistere tutto ciò, mentre laggiù le schegge sibilano sui camminamenti e i razzi solcano il cielo, e i feriti sono portati via sui teli da tenda e i compagni si rannicchiano nelle trincee?”

“I libri sono uno accanto all’altro. Li riconosco, ricordo l’ordine in cui li ho disposti. Con lo sguardo li supplico: parlatemi – prendetemi con voi – prendimi con te, vita di un tempo – vita spensierata, bella – riprendimi…
E aspetto, aspetto.”

Una sola cosa bellissima ha trovato Paolo in questi anni di guerra e lo ha mantenuto in vita.

 Il cameratismo con i compagni, un sentimento nato dal condividere tutto, neppure paragonabile all’amore.

“Così ce ne stiamo seduti l’uno di fronte all’altro, io e Kat, due soldati in giubbe logore intenti ad arrostire un’oca in piena notte. Non parliamo molto; eppure abbiamo l’uno per l’altro maggiori attenzioni di quante credo possano averne due innamorati. Siamo due uomini, due minuscole scintille di vita, e fuori è notte e regna la morte. Noi le sediamo accanto, minacciati e nascosti, le nostre mani sono coperte di grasso, nei nostri cuori ci sentiamo vicini e l’ora è come il luogo: luci e ombre delle nostre sensazioni oscillano qua e là con la fiamma del nostro fuocherello.”

 Le pagine in cui Paul cerca di tirare su il morale di uno dei compagni che giace in un letto di ospedale da campo e sta morendo, sono toccanti.

Così come sono strazianti quelle in cui trasporta a spalle l’amico ferito.

Il libro si chiude in una giornata così calma e silenziosa che il bollettino del Comando è stringato: “Niente di nuovo sul fronte occidentale”.

Eppure un ragazzo è morto.

Nessuno si è accorto che una zolla di terra è stata lavata via dal mare e l’Europa è più piccola (sono le parole di John Donne).

È dalla lettura dell’opera memorialistica di Stefan Zweig con “Il Mondo di Ieri. Ricordo di un Europeo” che non rimanevo raggelata e colpita da un messaggio così lucido potente e disperato come questo di Remarque sulla guerra.
Già Hemingway con “Addio alle Armi” aveva condannato qualsiasi conflitto violento che avrebbe minato una vita, un amore, la stessa dignità dell’uomo, ma lo scrittore tedesco qui fa molto di più: la sua voce è ancora più tragica e malinconica.
Raccontando, nelle sue tante sfumature, la vita di questi soldati non ancora entrati nell’età adulta, punta il dito contro la vecchia generazione macchiatasi di individualismo e cecità per aver portato la nuova generazione allo sbando, in un contesto terribile e inumano.

La vita esposta da Remarque non è una vita eroica e nemmeno vita, benché nel libro siano presenti scene di goliardica leggerezza, che donano attimi di respiro al lettore, esse non sono che brevi respiri qua e là per ingannare la morte, sempre onnipresente, pure sullo sfondo di una natura bellissima e intatta che rende ancora più struggente la rinuncia al domani, per chi viva poco o a lungo non importa.

“A nessuno la terra è amica quanto al soldato. Quando vi si aggrappa, lungamente, violentemente; quando con il volto e con il corpo si lascia avvolgere dalla terra nell’angoscia mortale del fuoco, allora essa è il suo unico amico, suo fratello, sua madre; nel silenzio della terra egli soffoca il suo terrore e le sue grida, essa lo accoglie nel suo rifugio, poi lo lascia andare, perché viva e corra per altri dieci secondi, e poi lo abbraccia di nuovo, e spesso per sempre.
Terra, terra, terra.
Terra, con le tue pieghe, con le tue buche, con i tuoi avvallamenti in cui ci si può gettare, sprofondare. Terra, nello spasimo dell’orrore, tra gli spettri dell’annientamento, nell’urlo mortale delle esplosioni, tu ci hai dato l’immenso contraltare della vita riconquistata! La corrente della vita, quasi distrutta, è rifluita da te attraverso le nostre mani, così che noi salvati in te ci siamo sepolti, e nella muta ansia del momento superato ti abbiamo morso con le nostre labbra!”

E mentre questa età giovane si vede andar via nell’infertilità di questo domani, il vecchio mondo, tolto l’ultimo velo dagli occhi, cadrà insieme alle sue ataviche certezze.

Dietro il titolo dell’opera si nasconde chiaramente un simbolico significato, custodente tutta l’amara insensibilità verso ciò che si è perso.

Ma forse anche questo che penso non è che malinconia e smarrimento; forse svanirà quando sarò sotto i miei pioppi, e ascolterò il mormorio del loro fogliame. Non può essere del tutto scomparso, quella tenerezza che ci turbava il sangue, quell’incertezza, quell’inquietudine di ciò che doveva giungere, i mille volti dell’avvenire, la melodia dei sogni e dei libri, il fruscio lontano, il presentimento della donna: non può essere scomparso tutto questo sotto il fuoco tambureggiante, nella disperazione, nei bordelli di truppa.

Ma Paul Bäumer sta lì a ricordarci che forse, in mezzo alla nuda terra, qualcosa è rimasto.

Un libro immortale da lasciar parlare, un’ode alla vita ed alla pace, denuncia contro chi promuove il male e un riconoscimento a tutti quei soldati che hanno sacrificato la loro vita, sogni e speranze.

 

AUTORE: Erich Maria Remarque

GENERE: Narrativa, Letteratura di guerra

EDITORE: Neri Pozza 2016 (collana Biblioteca)

NUMERO DI PAGINE: 207

NOTIZIE: Il romanzo fu pubblicato per la prima volta sul giornale tedesco Vossische Zeitung nel novembre e dicembre 1928 e in volume alla fine di gennaio del 1929. Nonostante avesse un chiaro stile documentaristico, venne tacciato di propagandismo contro la guerra ed i suoi sostenitori, tanto che Goebbels ordinò lo smantellamento della sua rappresentazione cinematografica. Il libro fu bandito e poi bruciato dai nazisti. Nel nostro Paese se ne tentò la traduzione, ma la circolazione fu bloccata, e solo nel 1931 Mussolini ne consentì la stampa ma non la distribuzione in Italia. Il testo venne stampato con la dicitura «Edizione per l’estero», e pertanto distribuita solo fuori confine. [ Le edizioni Mondadori del 1931 (traduzione di Stefano Jacini) erano quindi in lingua italiana ma destinate alla distribuzione in mercati stranieri.]

Niente di nuovo sul fronte occidentale (All Quiet on the Western Front) è un film TV del 1979 diretto da Delbert Mann ed è un remake di All’ovest niente di nuovo di Lewis Milestone (1930). 

Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Edward Berger è invece il primo adattamento cinematografico tedesco dell’omonimo classico di Erich Maria Remarque. Il film, targato Netflix e candidato agli Oscar“ Niente di nuovo sul fronte occidentale” racconta l’avvincente storia di Paul Bäumer (interpretato dall’attore Felix Kammerer), un giovane soldato tedesco in prima linea a ovest durante la Grande Guerra. Paul e i suoi commilitoni vivono sulla propria pelle l’euforia iniziale per il conflitto che si trasforma inevitabilmente in paura e disperazione, mentre in trincea combattono per la propria sopravvivenza. Il film diretto da Edward Berger è tratto dal celebre bestseller omonimo di Erich Maria Remarque, veterano della Prima Guerra Mondiale. Il romanzo fu pubblicato alla fine di Gennaio del 1929; il suo successo fu talmente immediato che vendette, nei soli primi 18 mesi, oltre 2 milioni e mezzo di copie tradotte in 22 lingue.

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