I figli della mezzanotte
RECENSIONI

I figli della mezzanotte – Salman Rushdie

Il jet-leg della lettura…

Non credo che quest’ultima sia inventariata in qualche manuale diagnostico dei disturbi mentali ma non esiste lettore che non l’abbia incontrata. Fa capolino a metà per manifestarsi verso i tre quarti del libro, quando lo spessore delle pagine residue si assottiglia vertiginosamente sotto il tocco delle dita, i più tenaci si impongono di centellinare quel che resta, ma presto, o tardi l’appuntamento con la parola fine, dell’ultima pagina in bianco arriva.  

Sprofondo così in una malinconia stuporosa e greve, in un’apatia contro la quale sento di non poter nulla. Gironzolo per casa imbambola con in testa personaggi, parole e immagini, sbatto contro gli stipiti delle porte, metto il sale nel caffè, il dentifricio nel frigo e le pantofole in forno come sotto l’effetto di un violentissimo jet-lag.

E in effetti, qualcosa accomuna il ritorno da terre lontane e il congedo da un libro in cui ci siamo molto addentrati.

Il forzato atterraggio dai cieli della finzione prende la ben nota forma del furor malinconico: non mi do pace, saltabecco nella libreria da un libro all’altro, osservo copertine, tasto pagine, spulcio incipit, cercando di riacciuffare in tutti l’ombra di quello appena perduto.

Che fare?

Niente.

Per spiacevole che sia, quella tristezza è il giusto prezzo da pagare per un’esperienza reale, viva, a cui ho partecipato con tutti i miei senti.

Conoscete forse un solo caso di un grande amore che sia finito senza strascichi e dolori? O di un pranzo di Natale digerito in mezz’ora?

Quanto più vertiginosa è stata l’ascesa, tanto più veemente sarà il tonfo.

In fondo l’ho sempre pensato… la vita è fatta di incontri speciali, non solo con le persone, ma anche con i luoghi, gli odori, i sapori e con tutte le piccole e grandi cose che la vita ci presenta compresi i miei vecchi e cari amici libri.

Così è stato con questo libro “I figli della mezzanotte” incontrato per caso e con un pizzico di sfacciata fortuna su una confusionaria bancarella tra le affollate e caotiche vie torinesi.

Un po’ di Bollywood, un po’ di storia, tanta magia e quel giusto tocco di satira…

Un racconto delle illusioni perdute.

Un viaggio ipnotico in cui le profezie si mescolano alla verità, alla memoria e al destino, in una somma caleidoscopica di ricordi, tra atti politici e meraviglie per raccontare le vicende dei primi anni dell’India Indipendente.

I figli della mezzanotte è un libro sull’eterno sfumare dei sogni e delle aspettative che il passaggio dall’infanzia all’età adulta porta con sé, è la storia delle grandi speranze disattese e delle illusioni perdute di una generazione di indiani.

Un capolavoro dal sapore delle storie di “Le mille e una notte” che ammaglia il lettore costretto a rincorrere la storia del protagonista Saleem Sinai e a perdersi negli angoli della sua labirintica esperienza umana.

Saleem Sinai è infatti un personaggio particolare. Nato alla mezzanotte del 15 agosto 1947, il giorno della proclamazione dell’indipendenza dell’India, è dotato di poteri soprannaturali come gli altri mille e uno “figli della mezzanotte”. Arrivato ad un certo punto della sua vita, Saleem decide di scrivere la sua storia e noi lettori lo seguiamo confusi, rapiti e affascinati attraverso la tessitura di una gigantesca e articolata ragnatela narrativa che avvolge ogni aspetto di un’India elefantiaca che cerca di inventarsi e concretizzarsi come nazione. Con la sua varietà sconcertante, con le sue mille religioni, storie, razze, classi sociali, valori e disvalori, l’India diventa lo specchio di una umanità messa a nudo, una summa umana di grande valore, in cui anche il lettore occidentale si trova costretto a riconoscersi.

Un mondo frammentato e frammentario, che non può essere altrimenti, come l’io, la storia, la memoria.

Il protagonista non può fare a meno di commentare la sua vicenda straordinaria mentre la rivive e la trascrive, suggerendo allusioni, sottolineando errori e imprecisioni nella ricostruzione dei fatti, inventando sul momento e proponendo la sua interpretazione spudoratamente sfacciata e inattendibile.

La memoria è uno dei temi fondamentali del libro.

“La memoria ha una sua verità particolare. Seleziona, elimina, modifica, esagera, minimizza, glorifica e anche diffama; ma alla fine crea una propria realtà, una propria versione eterogenea ma di solito coerente, degli eventi e nessun essere umano sano di mente si fida mai della versione di qualcun altro più che della propria.”

Saleem sembra conservarla in salamoia come si fa col chutney per non farci smarrire in una miriade di vicende che si intrecciano, per non dimenticare i volti, i nomi, le passioni, le paure dei singoli e di una nazione.

“Mettere in salamoia significa, in fondo, conferire immortalità.”

 

Al tema della memoria si oppone quello dell’oblio e dell’amnesia come rimozione della vergogna per le molteplici nefandezze e gli innumerevoli orrori commessi da chi governa i popoli.

Ma la vera protagonista indiscussa del romanzo è l’India che entra in scena ancora prima dei personaggi.

Un’India popolata da figure assurde, gobbi, storpi, donne bellissime, bambini deformi, vecchi contorti, streghe e incantatori di serpenti. E poi odori, colori, rumori, suoni, sfumature del cielo, il frusciare dei sari e la durezza della terra. Tutto descritto fin nei minimi dettagli. Tutto inserito in un periodo storico ben preciso che va dal 1947 agli anni ‘80.

Una folle ed avvincente cavalcata temporale che va dall’India dell’indipendenza a quella di Indira Gandhi periodo di massima costruzione dove quasi tutte le libertà personali furono azzerate, passando per la guerra con il Pakistan e la nascita del Bangladesh.

Tramite le vicende individuali emerge così il volto di un’India moderna, induista e islamica al contempo, occidentale e oberata da superstizioni antichissime, avanzata e al tempo stesso afflitta da arretratezza. Una nazione ambiziosa ma imperfetta quando l’umanità, alla ricerca di un ruolo di primo piano sullo scacchiere mondiale ma tristemente destinata a rimanere ai margini del mondo sviluppato.

Un’India che si affranca dal colonialismo britannico e che pure rimane ancestrale, composita nei suoi innumerevoli riti, nei suoi polimorfici simboli e nelle sue millenarie e ammalianti tradizioni.

Il romanzo di Rushdie ha un progetto ambizioso esprimere la realtà di un popolo colto in un passaggio epocale della sua storia attraverso gli occhi di un bambino.

Tra le pagine tutto si confonde; l’individuale si mescola al collettivo, il privato si fonde con il pubblico, la storia di Saleem con quella dell’India il tutto reso con una scrittura favoleggiante, prepotente e personale.

Lo stile di Rushdie è unico ed indimenticabile, fluente, immaginifico, barocco. Narra vicende surreali con tono distaccato e impassibile come se stesse descrivendo avvenimenti banali.

Lo scrittore indiano è straordinario, l’unico in assoluto, nel tenere una materia narrativa pomposa ed eccessiva in un mirabile equilibro di forma e contenuto per più di 500 pagine.

Pieno di odori e colori “I figli della mezzanotte” è un romanzo lussureggiante, prolisso, mitologico, picaresco, metaforico, profetico, ricco di situazioni assurde realizzate tramite una miriade di personaggi e un costante e sapiente uso del realismo magico. Scritto con una fantasia invidiabile, con continui virtuosismi letterari basati su artifici immaginativi questo romanzo vanta inoltre una prosa affabulante, seducente, coltissima e linguisticamente geniale.

Ogni evento è come un piccolo nodo su un telaio complesso, che si muove avanti e indietro nel modo in cui nel Kashmir si fanno i tappeti.

È un bel viaggio, non sempre agevole, ma un po’ come nel gioco preferito del piccolo Saleem, “Serpenti e scale”, impariamo ad accettare tutto ciò che la sorte ha in serbo per noi.

Contorto sì ma squisitamente unico e speciale ….

Una parola …. Indimenticabile!

Il fluire della storia, la psicologia finissima dei personaggi, lo stile scoppiettante, la storia avvincente: non manca niente a questo premiatissimo romanzo.

Ma soprattutto, quello che colpisce, è la smodata sensualità delle parole di Rushdie. Sensualità in senso letterale ed intellettuale. Il libro apre la mente, porta lontano, sollecita i nostri sensi, tutti e cinque.

Tra la fantasia delle pagine assaporiamo la bellezza e le crudità della vita, viviamo l’India: facciamo incontri, esploriamo la storia, sentiamo odori, gustiamo chutney, sorseggiamo niumbu pani, accarezziamo sari e marinare, sfioriamo pavimenti e ceste del bucato, guardiamo ombre e luci, ascoltiamo raga melodiosi, soffochiamo nella polvere e respiriamo aria salmastra.

Il tutto vorticosamente, senza sosta, incontrando una famiglia e attraversando la Storia.

Assaporato, centellinato, da centellinare, e assolutamente da non perdere.

 

TITOLO ORIGINALE: Midnight’s Children

AUTORE: Salman Rushdie

TRADUZIONE DI: Ettore Capriolo

GENERE: Romanzo, Realismo magico, Fiction storica, Metanarrazione

EDITORE:  Mondadori 2017 (collana oscar 451)

NUMERO DI PAGINE: 642

NOTIZIE: Il romanzo vinse il Booker Prize e il James Tait Black Memorial Prize nel 1981; fu premiato poi col Booker of Bookers e il migliore dei vincitori del premio nel 1993 e col Best of the Booker nel 2008 per celebrare il venticinquesimo e il quarantesimo anniversario del premio, rispettivamente. È nella classifica dei 100 libri del secolo di le Monde.

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