Americanah
RECENSIONI

Americanah – Chimamanda Ngozi Adichie

Non tutta la letteratura si somiglia. È un’affermazione banale?

Può darsi, ma dietro c’è una grande verità.

A volte leggendo capita di immedesimarsi nei protagonisti. Addirittura, succede di riuscire a comprendere le motivazioni che rendono così meschino l’antagonista o il killer di un giallo. Se da un lato ci si adatta alle storie dei personaggi, altre volte cuciamo e ricamiamo su di loro i nostri abiti. 

C’è però una porzione di letteratura ribelle, una scossa che sconvolge ogni schema e approccio alla lettura, la letteratura post-coloniale nigeriana.

Il miglior regalo che letteratura possa fare è aiutare a cambiare prospettiva.

Abituati a guardare la realtà attraverso una certa lente, con un certo occhio un bel libro sa aprire porte, togliere veli e scuotere animi. Ad alcuni sembrerà banale, ad altri difficile da comprendere, ma in effetti (se ci pensiamo) i mondi che scopriamo dentro e attraverso un libro possono davvero educarci e farci cambiare opinione sulle cose; ed è bellissimo quando succede con tutto ciò che crediamo di sapere ma che alla fine ci accorgiamo di non conoscere affatto…

Ecco, questo è ciò che ha scatenato in me “Americanah” di Chimamanda Ngozi Adichie.

Per chi non la conoscesse già, Chimamanda è una delle grandi voci della nostra generazione. La scrittrice nigeriana naturalizzata negli Stati Uniti è diventata, dall’inizio del 2000 ad oggi, un simbolo e il suo eco come public personae è talmente ampio da essere stata inserita da Time Magazine nell’elenco delle 100 persone più influenti al mondo del 2014.

I suo discorsi per le conferenze TedX sono stati visualizzati da milioni di utenti in tutto il mondo e il secondo, dal quale ha preso vita il libro “Cara Ijeawele:perché dovremmo tutti essere femministi”, è stato attenzionato da Byoncè in Flawless.

Adichie è stata definita l’erede naturale di Chinua Achebe, padre della letteratura africana in lingua inglese. La letteratura africana è piuttosto giovane e questo fa sì che la sua influenza a livello mondiale sia sempre stata secondaria.

Nell’ultimo cinquantennio però ha iniziato a proliferare quella che viene definita letteratura post-coloniale e la voce dell’Africa si sta piano piano ritagliando uno spazio a livello mondiale; in questo ha avuto un peso non indifferente l’autrice che con romanzi come “L’ibisco viola” e “Metà di un sole giallo” ha portato la letteratura nigeriana sotto i riflettori mondiali.

Il primo episodio della narrazione si svolge negli USA, nella saletta di uno di quei parrucchieri specializzati in acconciature e trattamenti per capelli afro, la cui funzione nel romanzo è quella di rappresentare un microcosmo: un luogo di incontro dove avvengono scambi di informazioni importanti o frivoli pettegolezzi.

Il parrucchiere è il posto in cui si ritrovano donne di cultura, etnia e posizione sociale diverse; donne di origini africane nate negli USA (americane-africane), afro-americane emigrate da paesi del continente africano, discendenti di generazioni soggiogate alla schiavitù, mulatte ed altre, tutte legate da una caratteristica: i capelli, e spesso si tratta davvero dell’unico elemento che le accomuna.

Scriveva Virginia Woolf in “Una stanza tutta per sé”:

“Speaking crudely, football and sport are “important”; the worship of fashion, the buying of clothes “trivial.” And these values are inevitably transferred from life to fiction. This is an important book, the critic assumes, because it deals with war. This is an insignificant book because it deals with the feelings of women in a drawing-room”

(“Detto volgarmente, il calcio e lo sport sono “importanti”; l’apprezzamento per la moda, l’acquistare vestiti “banali.” E questi valori sono inevitabilmente trasferiti dalla vita alla narrazione. Questo è un libro importante, presupporrà il critico, perché tratta di guerra. Questo è un libro insignificante perché parla dei sentimenti delle donne in un salotto”).

Adichie, ben consapevole di cosa ci si aspetti dagli autori laureati che si muovono soltanto fra le cose dai nomi poco usati, afferra per i capelli lo stereotipo del tema importante narrato per metafore “serie” e lo sbatte fuori casa senza troppe cerimonie, decidendo di fare dei capelli della protagonista uno dei nodi simbolici chiave del suo romanzo.

Personalmente, non penso in alcun modo che l’unico e solo modo per parlare di donne sia quello di narrare quel che accade in un salone di bellezza, ma confesso di avere apprezzato questa scelta narrativa doppiamente provocatoria.

“I capelli sono la metafora perfetta per la razza in America”.

Chimamanda ammette che parlare di capelli è complicato: tutti vediamo quello che gli altri hanno in testa, ma pochi si domandano cosa ci sia dietro e meno persone ancora si prodigano per cercare di capirlo.

Un po’ come la questione della razza.

Provate a chiedere a una donna se è soddisfatta dei capelli che ha. Vi parlerà di un rapporto fatto di alti e bassi, di giorni buoni e di giorni meno buoni. Se ha i capelli ricci vi dirà che li vorrebbe lisci e ordinati, nel caso contrario vi confiderà che ha sempre desiderato onde eccentriche e volumi esasperati.

E cosa fanno, le donne, quando vogliono dare una svolta alla propria vita?

Se questo vi sembra un discorso superficiale non avete colto il punto: cambiare taglio, cambiare colore, è dare una nuova immagine di sé, magari più giovane, più audace, comunque diversa. Vuol dire essere (credersi o far credere di essere) un’altra persona, e questo è solo il primo livello della piramide.

Coprire o scoprire i capelli, acconciarli in un modo invece che in un altro, sono decisioni che in alcuni contesti diventano messaggi, opinioni, posizioni intellettuali.

Ve lo dico subito!

Non è facile parlare di questo romanzo. Non è facile raccontarlo in modo semplice perchè abbraccia più generi letterari. E’ quasi una satira sociale, piena di umorismo nettamente malinconico, ma anche una storia di formazione (più tesa al femminile), travestita da romanzo sentimentale. E’ contaminato dalla autobiografia e dalla saggistica, con al suo interno articoli del blog “Razzabuglio” che Ifemelu scriverà e le darà successo. 

Americanah è un libro corposo che scorre bene e trascina in luoghi ed esistenze lontane ma con le quali si empatizza facilmente.

Ambientato tra Nigeria, Stati Uniti e in piccola parte Inghilterra, colpisce per la maestria nel tenere le fila di un complesso intreccio di temi, tempi, luoghi e personaggi, per l’impronta umana, per la profondità delle riflessioni, per la moltitudine dei personaggi, per il continuo dialogo tra una dimensione intima e personale e una più sociale e pubblica.

In quest’architettura narrativa, entriamo nella vita di Ifemelu, ragazza nigeriana che nelle prime pagine incontriamo in un saloon di parrucchiere afro in America, all’alba della sua decisione di rientrare in Nigeria dopo quindici anni negli USA.

Entriamo nella quotidianità non stereotipata di Lagos, nel mito dell’Inghilterra o dell’America, nella travolgente giovinezza, e poi nella lunga quanto tormentata storia d’amore con Obinze, personaggio la cui storia continua a essere raccontata in parallelo.

Nella narrazione si intrecciano anche fatti di attualità, fra cui l’attentato alle Torri Gemelle, l’inasprimento delle relazioni internazionali, i dibattiti sul terrorismo e sui nuovi flussi migratori.

Ifemelu si trova negli USA quando Obama viene eletto Presidente e, fra voci di trionfo e di rivoluzione, ci si domanda se le sue origini etniche miste (essendo nato da padre nero e madre bianca) abbiano in qualche modo influenzato le sorti del suo successo.

“E se Obama fosse stato nero?”.

I continui sbalzi temporali mescolano le cronologie e ci portano alla sua nuova vita in America, a nuove consapevolezze (solo lì Ifemelu scopre di essere “nera”), a incontri che lasciano il segno, a nuovi amori.

 Ifemelu scopre le razze e i suoi pensieri pungenti trovano libero sfogo nel suo blog «Razzabuglio», di cui nel romanzo leggiamo interessanti stralci, mentre intrattiene conversazioni impegnate in un salotto a Philadelphia, nella camera da letto a New York, o in un pub inglese.

Il razzismo descritto in Americanah è un atteggiamento d’intolleranza trasversale. Non sono solo i neri contro i bianchi, ma i WASP contro gli afroamericani, gli afroamericani contro i neri non americani, gli inglesi contro gli americani, gli africani ricchi contro gli africani meno ricchi. Sono assoggettamenti economici, sociali e culturali.

Classi sociali, razze, compromessi, relazioni… tutto nel romanzo ruota attorno a quella costellazione di identità su cui Ifemelu così profondamente si interroga. Passa dagli sguardi esterni, e da come ci si vede e sente, passa dal corpo, da cosa si sceglie di esibire, e anche dallo stile di acconciatura!

Infine, si torna al presente, in quel saloon afro e poi al ritorno a Lagos, per ricucire silenzi e strappi, e l’amore, che al di là di tutto, è l’unica cosa che, anche nelle istanze politiche e identitarie più combattive, riesce a placare lo sconvolgimento emotivo.

Tanto complesso quanto stimolante, impossibile da descrivere in modo esaustivo in un semplice articolo, «Americanah» è un libro che si divora e che difficilmente si dimentica. Grazie a una struttura narrativa dinamica, a un contenuto ricco di spunti e a un modo di raccontare vivace, il romanzo di Adichie resta addosso per molto tempo, con tutte quelle domande e quelle nuove consapevolezze che ha scatenato dentro.

Perfetto, insomma, per chi non è mai stanco di saperne di più.

 

AUTORE: Chimamanda Ngozi Adiche

TRADUZIONE DI: Andrea Sirotti

NUMERO DI PAGINE: 494

GENERE: Romanzo, Narrativa

EDITORE: Einaudi 2015

Acquistato online

(Ricordati, se puoi, di sostenere le piccole librerie indipendenti)

 

 

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