Cecità
RECENSIONI

Cecità- José Saramago

In mezzo ai classici “volumoni” che popolano i forniti scaffali della mia scomposta e poco ordinata libreria c’è un libro dalla copertina flessibile, non particolarmente alto, non particolarmente largo e non particolarmente spesso …  uno di quei libri pratici da portare in borsa che si pensa di poter leggere senza batter ciglio tra una fermata di metropolitana e l’altra. Ma non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze di “Cecità”, perché per spessore morale e intensità questo libro è un vero macigno.

Cecità è l’opera più inquietante e lucida dello scrittore portoghese José Saramago, un’importante riflessione sulla complessità della natura umana.

Oggi, dopo essere stati toccati da una epidemia reale non meno schioccante e impattante di quella fittizia immaginata e descritta dall’autore, chiamati a custodire il destino individuale e collettivo affidato al senso di responsabilità civica di ciascuno, la lettura e rilettura di Cecità, appare un atto necessario e più che mai opportuno.

È il libro di ogni momento che ci forza a guardare in faccia i mali, i punti oscuri dell’umanità e ci illumina sulla necessità di salvaguardarla dalla degradazione, dalla violenza dell’uomo sull’uomo, dai soprusi, dalla sopraffazione, dall’empietà, dall’indifferenza e dall’egoismo.

Egoismo, potere, sopraffazione, violenza, qualunquismo, indifferenza, ignoranza, sono i maggiori aspetti di una società universale, purtroppo sempre attuale, visualizzati e scandagliati in questo romanzo.

Cecità come buio della mente, della ragione, dell’umanità. 

In una città non indicata, e che proprio per questo potrebbe essere qualsiasi luogo, un uomo diventa cieco all’improvviso.

A questo primo imprevisto avvenimento seguono in rapida sequenza analoghi e molteplici casi di cecità, tanto da far pensare a un’epidemia.

Quale sarà il comportamento dei singoli individui colpiti dal male?

E cosa invece comporterà la reazione delle istituzioni, del potere, di fronte a quel dramma, apparentemente incontrollabile?

Saramago, scrittore tra i più letti e tradotti al mondo, ci prende per mano e ci guida, come fossimo non vedenti noi stessi al pari dei personaggi del suo libro, attraverso le pieghe/piaghe dell’esistenza umana. L’autore estremizza puntando freddamente la lente su particolari aberranti, esaspera il racconto per meglio scandagliare l’animo umano in situazioni limite, creando così arcobaleni di sentimenti anche contrastanti tra loro, che nascono, si fondono per poi separarsi di nuovo.

Il lettore si trova così profondamente immerso nello sgomento di chi perde la capacità di vedere e con essa la sicurezza e l’autonomia, nella speranza di riacquistare la vista, nella delusione e la rabbia nei confronti delle “contromisure” adottate dal potere (contromisure che ne smascherano il cinismo ma anche i limiti), nella mortificazione dello scoprire l’egoismo sfrenato anziché la solidarietà delle persone vicine, legate dallo stesso problema, nella ribellione, che sfocia addirittura in voglia e capacità di uccidere, e poi nello schifo, nella pietà, nella rassegnazione, e infine ancora nella speranza.

Finché c’é vita, c’é speranza.

Non é un luogo comune. Non in questo libro. Non tra queste pagine dove una donna, per amore, si finge cieca per poter continuare a vivere accanto al proprio uomo colpito dal male.

Scrittura tanto dolce quanto violenta, quella di Saramago, parole usate come bisturi forse solo per arrivare a sussurrarci, per dirla alla De Andrè, che “non esistono poteri buoni”.

Impossibile non accostare questa voce a quella di Cormac McCarthy di cui a suo tempo avevo letto “La Strada”.

E, come ne “La strada” lo stile asciutto e spoglio, fluido e straniante aiuti a dipingere un mondo in rovina: non per una non meglio precisata catastrofe come in McCarthy ma per il crollo della dignità umana che circonda i protagonisti, nella loro squallida e vergognosa quarantena.

Saramago piace o non piace, il suo stile con le digressioni dei personaggi e dei dialoghi, totalmente privi di segni di interpunzione, annegati nella narrazione, a prima vista può sembrare difficile e respingere il lettore. I punti sono sostituiti dalle virgole e le pagine si presentano compatte e fitte di caratteri tipografici, con rarissimi “a capo”.

Non c’è nessuno nome proprio, né toponimi geografici.

I protagonisti dunque chi sono?

A dare l’ennesimo colpo al lettore, perso nei meandri dei paragrafi serpentini e in una società in disgregazione c’è l’assenza di ogni nome: a che servono i nomi, in un mondo in cui non ci si può vedere? 

In un mondo di ciechi i personaggi si riconoscono attraverso la voce. Essi sono la loro voce.

Ecco allora che abbiamo il primo cieco e sua moglie, il medico e sua moglie, la donna dagli occhiali scuri, il vecchio con la bandana, il bambino strabico e il cane delle lacrime. Inutile sottolineare come il grande Saramago riesca perfettamente a usare questo stratagemma per dipingere ancora più crudelmente quel mondo, senza però allontanare il lettore dai personaggi, senza disumanizzarli, anzi definendoli, invece che nominandoli, lì rende ancora più vicini e reali.

Fin dall’inizio l’autore stabilisce un tacito patto con il lettore: devi esercitare il tuo orecchio se vuoi distinguere i diversi modi di parlare, se vuoi riconoscerti nelle voci dei diversi personaggi. Di solito come lettore sei un testimone oculare ma qui devi trasformarti in un testimone auricolare

L’autore governa la scena acustica; il narratore organizza le voci dialogando con il lettore e la moglie del medico cerca di orientare gli altri personaggi e il lettore.

Cecità è un testo colmo di metafore, prima su tutte l’incapacità umana di vedere se non con gli occhi, di guardare dentro l’altro, la fragilità della condizione umana, il dominio dell’uomo sull’uomo, l’istinto di sopravvivenza, l’adattamento alle più avverse condizioni dell’esistenza.

Se vivere si riduce ad essere senza esserci, tanto vale esistere senza vedere.

L’incapacità di guardare equivale a cecità che, nel romanzo di Saramago, si materializza come una tempesta hobbesiana.

Un libro che segna e insegna, un libro da leggere, un rimedio scritto, un’amara ricetta contro la noncuranza, l’incomprensione, una lente di ingrandimento potente attraverso la quale aprire gli occhi, educarsi a guardare, ricominciare a vedere.

 

 

TITOLO ORIGINALE: Ensaio sobre a cegueira

AUTORE: José Saramago

TRADUZIONE DI: Rita Desti

GENERE: Romanzo, Distopico, Allegoria, Fantascienza apocalittica e post apocalittica, Narrativa psicologica

EDITORE: Feltrinelli 2013

NUMERO DI PAGINE: 276

CURIOSITÁ: Josè Saramago premio Nobel per la letteratura 1998

Acquistato Online

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