Notturno Indiano
RECENSIONI

Notturno indiano – Antonio Tabucchi

Quali sono i libri da leggere assolutamente nella vita? Quali i migliori romanzi o le novità da non perdere?

Fossi in voi non darei molto credito o importanza a quesiti del genere, all’ordine del giorno nel mondo frettoloso, consumistico e nebuloso dei social network a sfondo “libresco” …  un libro vi riconosce, vi scova per caso, vi incontra in un luogo e un tempo perfetto.

Anche quelli sbagliati, perché in ognuno di essi c’è una scheggia, un seme, un vuoto e un pieno che vi occorrono per diventare quelli che siete. La lettura è in fondo scoperta, un gioco magico di composizione e scomposizione della personalità, un gioco di ruoli, un tempo per perdersi e uno per ritrovarsi. Quel che è certo è che ognuno ha i propri romanzi della vita e che lo stesso libro letto nel momento sbagliato non sarà mai la luce o l’ombra di cui avete bisogno.

“Notturno Indiano” è quello che personalmente ripongo sullo scaffale sacro, il posto in cui la mia anima pigra respira e acquisisce consapevolezza coltivando l’illusoria sensazione del viaggio per imparare a conoscere sé stessi.

Ho conosciuto Tabucchi, alla soglia dei trent’anni, in un’età ormai navigata e formata, entrando in aula virtuale universitaria e sedendomi al primo banco consapevole del ruolo educativo di una scrittura che non avevo ancora incontrato, letto, ascoltato ma che era già accreditata da molti, come esemplare ed unica.

Spesso questo tipo di atteggiamento sconsideratamente imperativo ed elogiativo, mi porta a sottovalutare la potenza di un’opera, per il semplice fatto che l’autore viene considerato, dalle fonti più disparate un maestro indiscusso ed assoluto. Questo approccio rigido mi porta a vivere delle indicibili delusioni nel campo della lettura che ho tentato di arginare con il passare del tempo e con l’aiuto dell’esperienza, smitizzando un po’, tutti i grandi. E a volte funziona.

Nel caso di Tabucchi è stato come mettere piede in aula affollata di sterili e chiassose chiacchere, in attesa del grande ed indiscusso maestro e trovarsi davanti un impudente ed elegante professore anarchico. Uno che riempie le lunghe ore di lezione di un pigro e lento lunedì mattina con la corposità dell’esperienza diretta, con la densità della carne, del sangue riconducendo il tutto a una dimensione marcatamente metafisica, onirica e universale, il tutto con una spiccata decisione accompagnata a quella nobile delicatezza dello stereotipato insegnante di provincia degli anni Settanta.

“Notturno indiano” è un romanzo onirico e visionario che pone al centro il viaggio, la ricerca che non è solo il viaggio fisico di un corpo reale da un luogo ad un altro ma soprattutto quello spirituale che compiamo dentro noi stessi e che ci traghetta all’interno di un io più profondo, interiore che si fa spesso sbiadito e spettrale, uno specchio misterioso, un gemello inesistente che tutti noi vorremmo imparare a conoscere.

“Il viaggio più difficile di un essere umano è quello che conduce dentro sé stesso alla scoperta di chi veramente egli è” ci diceva Carl Gustav Jung

Se si pensa allo spiritualismo alla ricerca di sé e del senso delle cose quasi inevitabilmente si viene trasportati in India. Se si pensa ai vecchi antri bui o al periodo degli anni Settanta si arriva a sentire l’inconfondibile e pungente profumo del Patchouli… sono riferimenti stereotipati di una memoria collettiva che sente il pressante bisogno, la bruciante necessità di definire e capire per alloggiare la propria delicata sensibilità e fragilità in un continente confortevole che chiuda le porte all’inquietudine.

Percorriamo passi e strade per tutta la nostra vita, da quando nasciamo fino all’ultimo respiro. Giorni e notti di pensieri, di agitazione, di fermento, di attesa, alla ricerca di una spiegazione di chi o cosa sfugge alla nostra comprensione. E così i passi si ampliano, si moltiplicano e creano nuove vie.

E succede che la tensione verso il fine si disperde nella meraviglia dell’atto della ricerca.

Diventiamo fuggiaschi irrequieti e  sensibili, in preda al bisogno di scoprire, di trovare ed invano capire.

Ci sono luoghi che chiedono di rinunciare a capire e l’India è uno di questi luoghi.

Notturno indiano è un libro fotografico, per certi versi. Ogni capitolo, una cartolina che racchiude una porzione di spazio ma lascia fuori tutto il resto.

Quella di “Notturno Indianoè un’India notturna stanca e magica, a tratti surreale. Vi s’incontrano ombre del passato, ragazzini storpi e indovini, mendicanti, società teosofiche. Ci si muove tra Bombay e Madras. Cioè Mumbai e Chennai, che nel libro di Tabucchi conservano i loro nomi antichi. È un itinerario che non necessita di date, perché potrebbe essere compiuto da chiunque e in qualsiasi momento. Tutto è immerso in un mistero che sarebbe folle e masochista svelare.

I posti sono quelli che non vengono mai ritratti. Gli ospedali, le camere d’albergo in periferia, la strada e i pullman fermi per più di ottanta minuti.

Il protagonista cerca Xavier in modo assurdo. Cambia albergo ogni notte. Dialoga. Procede. Sembra avere in mano il niente, un pugno di mosche, eppure ha idee stranamente lucide, chiare e una strada stranamente diritta da seguire.

Sa quello che fa. Ha una guida a cui si affida ciecamente: il titolo è “India, a travel survival kit”. L’ha acquistata a Londra. Ciò che dice la guida, lui fa. La guida fornisce informazioni bizzarre, superficiali e superflue. Proprio per questo è così importante.

Il cammino si fa sempre più onirico. Gli incroci si susseguono.

Alcuni incontri sono casuali come quello con il jainista alla stazione di Bombay o il ragazzino diretto al tempio di Chandranath.

Gente che si porta appresso il peso del suo corpo come un armadio. Incontri che forse non portano da nessuna parte. Proprio per questo sono così importanti.

Altri, come quello con la prostituta Vimala Sar, sono voluti perché funzionali al ritrovamento di Xavier. Eppure ognuno di essi assume la forma dell’appuntamento che la vita fissa per Roux a seconda dei suoi tempi, delle sue scelte.

Sono quei piccoli viaggi, nel grande viaggio dell’esistenza di cui tanto spesso Tabucchi parla.

La vita è un appuntamento … solo che noi non sappiamo mai il quando, il chi, il come, il dove.

E allora è inevitabile… uno pensa … se avessi detto questo invece che quello, se mi fossi alzato tardi invece che presto, o presto invece che tardi, oggi sarei impercettibilmente differente, e forse tutto il mondo sarebbe impercettibilmente differente?

Dubbi e domande senza risposta…

Ogni appuntamento, ogni incontro rappresenta una possibilità, una tra tante, una possibilità che si è verificata e che porta alla netta esclusione di tutte le altre.

Ma Tabucchi a questa limitatezza non si rassegna.

“Notturno indiano” procede infatti per riflessi, sdoppiamenti, pseudonimi e ribaltamenti. Dilata l’io a dismisura, lo scompone e alla fine ci racconta una verità, chi si è perso, chi lo cerca e chi racconta la storia sono la stessa persona: tre diverse possibilità, tre facce della stessa esistenza che tuttavia non possono convivere in un solo corpo, in un solo momento.

E poi il viaggio finisce. Certo, bisogna vedere che cosa s’intende per fine.

Il viaggio finisce solo e soltanto se è vero che noi tutti non facciamo altro che cercare un luogo in cui poter smettere finalmente di cercare.

Un luogo in cui trovare Xavier, chiunque e ovunque esso sia.

 

AUTORE: Antonio Tabucchi

GENERE: Narrativa

EDITORE: Sellerio editore Palermo 1984

NUMERO DI PAGINE: 109

NOTIZIE: Nel 1987 ha vinto il prix Médicis étranger. Nel 1989 ne è stato tratto l’omonimo film diretto da Alain Corneau 

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