I Natali di Nonna Lina
Blog,  Le chiacchiere del ...

I Natali di Nonna Lia

Era l’alba della sua ottantesima Vigilia di Natale, la terza senza la complicità, l’amore e la rassicurante compagnia di nonno Pino, e nonna Lina stava terminando di riordinare la polverosa soffitta senza tempo, dalla porta cigolante, alla ricerca degli addobbi natalizi di famiglia che ogni anno saggiamente cambiavano di baule per via delle tante cose accumulate.

Un vecchio cavallino a dondolo imballato con il cellofan e il vecchio baule intarsiato del bisnonno nell’angolo più buio illuminato da una piccola luce calda; un passato da spolverare, rimasto intrappolato lì, sotto la polvere, sopra a quel vecchio baule di legno dai grandi occhi di ottone e dalla larga bocca socchiusa intento a masticare abiti consunti, che da bambina la faceva viaggiare con la fantasia.

Un giorno nave dei pirati per sfidare mari in tempesta, un giorno comodo tavolino dove coltivare l’arte delle buone maniere e apparecchiare il servizio buono del tè da degustare in compagnia di altezzose ma raffinate amiche immaginarie, rigorosamente di fattura inglese.

Un palcoscenico di teatro sul quale portare in scena, travestimenti, mondi, personaggi e storie per sfogliare pagine ingiallite e accarezzare l’immaginario di autori senza tempo.

Allontanare i ricordi, buttar via ciò che può venir utile non era nelle abitudini di nonna Lina che conservava, in un fantasioso caos, anche il più piccolo pezzo di carta, attrezzi vecchi e rotti, ciotole sbeccate, mobili non più in quadro, poiché chissà un giorno… anche un chiodo arrugginito e ricurvo potrà servire.

Rovistando qua e là con ordine, tra pile scomposte di libri e in mezzo ai tanti “tesori” che la soffitta conservava, i suoi ricordi di una vita passata, le capitò tra le mani un quadro raffigurante la natività di Gesù. Stava stipato lassù, al buio, da così tanto tempo, che ella non ricordava nemmeno più di averlo.

Che meravigliose reminiscenze evoca questo quadro esclamò tra sé e sé emozionata e commossa Nonna Lina dopo aver rimosso con un deciso strattone il lenzuolo logoro, impastato di ragnatele, che lo proteggeva dalla polvere.

“Lo porterò giù per appenderlo sul camino del salotto. Starà benissimo, per Natale, sopra alla trave in legno, in compagnia del piccolo Presepe, del grande albero e dei due bei calzettoni in lana lavorati a maglia di fresco, appesi per l’arrivo della Befana.

Il vento del passato la travolse e Nonna Lina improvvisamente vide, come in un vecchio film, un Natale della sua infanzia.

Ci sono momenti nella vita dove i ricordi riemergono come giocattoli, ognuno al loro posto in soffitta come tanti soldatini di piombo, immobili.

Ecco che rudimentali bambole di stoffa dagli abiti improvvisati semi scuciti, scatole di cioccolatini di latta riempite di biglie rotolanti, cavallini che zoppicano nel loro incerto dondolio, trenini con rotaie interrotte, orsi di pezza lisi e senza peluche, secchielli di plastica che hanno portato l’acqua di mare per costruire fragili castelli di sabbia, diventano nuovamente compagni di festa, il Natale che ognuno di noi ricorda e costudisce tra le pagine dell’animo che tutto conserva e nulla dimentica.

Una vecchia poesia di famiglia recitata timidamente accanto al camino scoppiettante. La lunga e affusolata candela rossa dalla cela colante e la fiammella incerta accesa alla mezzanotte davanti al quadro della Natività per celebrare il Sacro Evento. La dolce zia d’America che stonata intona il “Tu scendi dalle Stelle” e noi bambine che la seguiamo in coro con le nostre vocine angeliche.

Una tazza calda di caffè d’orzo e un bacino al Bambinello, prima di andare a nanna in attesa dell’arrivo di Babbo Natale.

Profumo di abete, di cannella e di miele nei dolci preparati dalle nonne per la Festa più amata dai bambini.

Un vestitino rosso con una fascia verde di velluto, le scarpette nere lucide di vernice e dei cuoricini strepitanti e felici nell’attesa di ricevere piccoli doni che ugualmente, seppur piccoli come un paio di pantofoline e due mandarini, niente toglievano alla sorpresa del risveglio, il giorno di Natale.

Improvvisamente nonna Lina si desta dai suoi vividi ricordi e stringe a sé il quadro mentre scende incerta e tremante le scale per rimetterlo al suo posto dove si trovava una volta nell’antica casa di famiglia.

Le luci le appaiono all’improvviso dalla finestra dietro alla villetta. Rosso e blu si intrecciano con luci bianche e verdi. Una rete che incanta. Che colpisce occhi viso e cuore. Un sogno. Le luci abbracciano una parte quella della porta di ingresso. Poi anche l’altra quella laterale. Riempiono delimitando spigoli e finestre, porte e cancelli. Una casa di Natale. Una piccola piccolissima “luci d’artista”. Una favola natalizia nel cuore del piccolo paese di montagna che ogni anno puntale il 24 si risveglia. Le auto rallentano e fanno la fila, le mamme accompagnano figli imbacuccati e qualche volta arriva anche un pullman di turisti. Tutti a vedere la casa di Natale. La casa di Giuseppe. Una tradizione che da oltre vent’anni accende i natali di Lina richiamandola all’ordine.

Il finto abete di fattura scandinava, di discrete dimensioni e dalle punte leggermente innevate, alloggiato nel suo elegante vaso natalizio dalle tonalità calde, troneggiava spoglio nell’angolo est del grande salotto, fra il camino e la finestra che si affacciava sull’ampio campo innevato delimitato dal faggeto, lontano, oltre le brume del nevischio che precipitava a tratti incerto spazzato e scomposto da vento. Affacciandosi alla finestra si vedeva il freddo della fine di dicembre e questo creava un piacevole contrasto col caldo del camino, dove scoppiettavano i ceppi diligentemente accatastati nella legnaia durante i mesi precedenti.

La sala, non particolarmente luminosa, lampeggiava a tratti sotto le fiamme del legno resinoso del  maestoso pino secolare ormai troppo grande vecchio e instabile per reggersi ancora sulle sue intrecciate e avvizzite radici; c’era un comodo divano davanti al camino foderato di velluto, col suo bel tappeto colorato, un po’ logoro, arricciato agli angoli; un tavolo di noce in mezzo alla stanza; credenze con molti oggetti, piatti, vasi, che si intravvedevano nella semioscurità; un pesante arazzo nella parete opposta. Una stanza antica. Con oggetti antichi che rivelavano fasi diverse, tempi diversi della vita della nonna che stava aprendo lo scatolone delle decorazioni per

l’albero.

Le decorazioni: la cosa fondamentale erano le palle di vetro colorato.

Avrebbe provveduto dopo ai capelli d’angelo, alle lucine e al resto che ora disteso a terra in un rincorrersi irrefrenabile di colori intratteneva le menti vivaci e astute di Romeo e Fifì, i due gatti di casa.

Erano le palle di vetro l’elemento fondamentale.

Nessun albero di Natale ha senso senza le sue palle di vetro.

Delicate, fragili, fantasiose, di forma e dimensione diverse.

Ma soprattutto fragili.

La fragilità era essenziale; non era un difetto ma una loro qualità intrinseca, ciò che le rendeva uniche, preziose, come i sogni che evaporano al risveglio, come i rossi tramonti autunnali che durano pochi battiti di ciglia, o come gli amori di gioventù, distorti, negli anni, prima dai desideri incompiuti poi da rimpianti scuri e pesanti come il piombo.

La fragilità delle palle di vetro, come i sogni, come i rimpianti, come la breve stagione delle lucciole e dell’agapanto, come tutte le cose magiche della vita, era l’elemento di pregio di quest’importante rito; estrarle con cautela dallo scatolone, togliere la consunta carta protettiva, ammirarne l’anzianità, la bellezza, scrutare l’albero e decidere quale collocazione fosse la migliore per lei.

Ogni palla doveva avere un posto adatto; doveva essere valorizzata e non nascosta.

E ognuna doveva contribuire a un disegno d’insieme armonico.

L’albero non era la banale somma delle sue decorazioni ma una piccola opera d’arte, di vita, di dedizione e d’amore, come insieme che si poteva ammirare compiutamente solo alla

fine, e nulla poteva essere lasciato al caso.

Lina sapeva prendersi il suo tempo.

Afferrò la prima palla, tolse la carta e la rimirò; era di un rosa pallido con alcuni riflessi viola; nient’altro. Una palla liscia, lucida, molto semplice, quasi povera, neppure particolarmente grande, la dimensione giusta. La ricordava bene. Era l’ultima sopravvissuta di una scatola

che ne conteneva dodici, comperate da sua madre quando lei era una piccola adolescente forte e ribelle.

Era una palla modesta, non esprimeva particolare personalità ma, assieme, sembrava promettere possibili evoluzioni, come se un mastro vetraio avesse soffiato la sfera lasciandola incompiuta, con la promessa di una bellissima rifinitura, un disegno eccezionale che certamente si sarebbe fatto, un giorno forse, ma non ora. Non furono anni brutti, solo un po’… un po’ sciocchi, così giovane e vuota di idee, così spavalda e spaventata, così ancora distante dall’albero, cui provvedeva la madre.

Guardò l’albero ancora spoglio e si decise poi a mettere la palla in una zona laterale che sarebbe rimasta ben visibile anche completata la collocazione di tutte le decorazioni. Laterale, marginale, ma non inessenziale.

Allungò l’affusolata e incerta mano dalle dita nodose come i rami del pruno nello scatolone e ne estrasse un’altra.

Era molto più grande della precedente, di un rosso fiammante, rosso ferrari, con piccoli disegni natalizi a colori brillanti e sovrapposizioni di elementi bianchi impastati con brillantini.

Una palla decisamente appariscente, eccessiva, vistosa, che non era possibile occultare anche volendo.

Sorrise fra sé e sé; ricordava benissimo l’anno in cui la comperò, avrà avuto… dunque… 37 o 38 anni, sì. Era la segretaria di fiducia dell’ingegner Belli, lavorava 10-12 ore al giorno, non staccava mai, neppure i festivi, e suo marito aveva anche smesso di protestare perché lei non

lo ascoltava, parlava solo di dovere, di responsabilità e a volte, ma più raramente, di successo e di

denaro.

Un successo relativo e un denaro arrivato in quantità modeste. Ma caspita! Quanto lavorava!

Quell’anno, anche per farsi perdonare un po’, aveva preso dei giorni per le feste e si era impegnata nel creare il perfetto clima natalizio, addobbando, sfornando dolci e comperando anche quella palla meravigliosa.

Lina ricordava come l’avesse sempre messa in una posizione centrale, abbastanza in alto, in modo che dominasse l’intero albero con la sua forte presenza.

Ma adesso, chissà? Forse non era più così importante. Pensò a quegli anni di lavoro, e lavoro, e lavoro, e si chiese se ne fossero valsi la pena. Anni di sottrazioni per convinzioni rivedibili.

Rimirò ancora l’oggetto, guardò l’albero e decise per una posizione abbastanza defilata, sull’altro fianco dell’albero e piuttosto in basso, altezza ginocchia.

Un’altra palla, questa volta oblunga, ritorta, gialla e celeste. Sulle parti gialle c’era una specie

di polverina argentata, ruvida al tatto. L’aveva ricevuta in regalo da ragazza, all’Università.

A quell’epoca era innamoratissima di Pippo, si sentiva persa nei suoi occhi azzurri e fra un bacio e un abbraccio e una promessa di ritrovarsi presto, anzi subito, dopo la seccatura delle vacanze di Natale, d’impulso lei entrò nella vecchia cartoleria sotto i portici, vicino alla Casa dello Studente dove lui allora alloggiava comperò questa palla e gliela regalò.

“Così mi ricorderai anche durante le vacanze!” esclamò con una risata da donna acerba, compiaciuta e imbarazzata.

La ricordò infatti, si ricordarono entrambi per una stagione, ma le stagioni passano e il loro amore sbiadì, consumato dalla giovinezza instabile affamata e vorace di vita e dall’insensatezza del caso.

Si allontanarono senza neppure accorgersi, giorno dopo giorno, fecero nuovi incontri, si dimenticarono l’uno dell’altra ma poi, con la maturità il ricordo tornò, trovò una stabile collocazione nel cuore e prese a farle compagnia come una silenziosa e composta amicizia.

La palla ritorta aveva sempre avuto un posto importante nell’albero, e anche quest’anno fu collocata vicino al centro, in linea con lo sguardo della nonna, che la dispose con particolare delicatezza al rametto più sporgente e arcuato.

Il sole era calato da poco, il pomeriggio era ancora lungo e le palle numerose.

La nonna era carica del peso degli anni e dal numero dei ricordi e lo scatolone era molto capiente.

Andò in cucina a far bollire un po’ d’acqua per il tè, diede un’occhiata fuori, sarebbe nevicato a breve, certamente, e pensò a quanti altri Natali avrebbe passato a decorare l’albero da sola, a ricordare, a consolarsi.

Lo scatolone era al limite e lei non aveva la voglia, né le forze, per cercarne uno ancor più grande.

Il bollitore fischiò.

 Si preparò il tè e tornò in sala.

Allungò la mano e pescò a caso, gli capitò la palla nera.

Prima o poi doveva arrivare.

Non era nera, in realtà, ma di un viola scurissimo, denso, pastoso, che mostrava la sua vera natura solo alla luce mentre, in quell’ambiente poco illuminato, appariva di un nero assoluto.

Non ricordava affatto di averla comperata, era lì dall’anno in cui morì Pino. Lei era disperata ma doveva aiutare i figli a superare il trauma, la mestizia, la solitudine, e fecero tutti assieme, con un misto di finta allegria e di triste consapevolezza, l’albero più spoglio e disperato di sempre.

Ma fra le decorazioni si trovò anche questa, forse l’aveva comperata Pino prima di morire, forse era lì da tempo ma non ci aveva fatto caso, chissà?

Il fatto è che la palla nera era associata in maniera indissolubile al dolore, al buio anno della morte di lui, alla tristezza e alla solitudine del vuoto lasciato dalla fine di un amore senza tempo, solido, complice duraturo e intenso.

Anche lei ormai era centrale, poco sopra la palla ritorta, perché ora la nonna dall’alto della sua età e di una ritrovata saggezza e serenità aveva fatto pace con la sua vita e i suoi torti, e i torti della vita erano comunque pezzi della sua vita, erano la vita stessa, nient’altro.

La palla successiva era un piccolo capolavoro di artigianato, con una parte concava che racchiudeva una piccola e composta natività. Le figurine al centro della scena, anch’esse in vetro, gli avevano consegnato un senso di letizia.

L’avevano comperata, lei e Pino, a Vienna, durante il felicissimo viaggio in cui gli confidò di essere incinta del primo figlio, il suo regalo di Natale.

Provò nell’immediato un senso di vertigine fortissimo, dovette appoggiarsi allo stipite della porta; quindi, scoppiò a piangere di emozione e gioia, e questo fu il suo regalo a Pino, anche se non lo capì.

A spasso per una fredda ed inesplorata Vienna trovarono un mercatino dove si vendevano decorazioni natalizie e lui conoscendo il suo amore incontrollato per il Natale adocchiò subito questa natività e gliel’indicò…

Fu un Natale bellissimo, nuovo, pieno di futuro, di progetti, premure ed attenzioni.

Si scosse dal ricordo, collocò la natività a fianco della palla nera e andò di getto al telefono.

– Pronto?

– Eh… Giacomo… ciao sono mamma…

– Mamma! È bello sentirti!

– Sai… stavo facendo l’albero… ecco… volevo salutarti, farti gli auguri…

– Ma certo, grazie! Ma ci faremo gli auguri a Natale, no? Tu come stai?

– Bene, bene… voi?

– Tutto bene… Ma che ti succede? Ci vedremo fra pochi giorni no?

– Sì, sì, è solo che facevo l’albero, ecco… mi è venuta voglia di sentirti…

– Aspetta… [parla lontano dal telefono] Luca! Vieni al telefono che c’è la nonna! [Al telefono ora una vocina allegra e infantile] Ciao nonna! Come stai?

– Luchino, bello di nonna! Come stai?

– Nonna… nonna… sai? Ti abbiamo comperato un regalo…

– Davvero? Per me?

– Sì… una palla di Natale, per l’albero!

– Oh, ma che bravi… sai? La nonna sta facendo l’albero proprio adesso… Tengo un posticino anche per la tua pallina, va bene?

– Sì nonna [fruscio. Torna la voce di Giacomo].

Chiacchierarono un po’.

Poco, perché Lia non sapeva mai bene cosa dovesse dire.

Voleva sentire i figli, certo, li amava, ma onestamente non aveva un granché da raccontare.

Quando sapeva che stavano bene era contenta e non aveva bisogno di sapere altro, che di sé non aveva proprio nulla di cui parlare, la sua vita non aveva novità da comunicare salvo la vita…

Bevve qualche sorso di tè addolcito con il latte e tornò allo scatolone.

Prese un’altra palla, ricordò, la sistemò sull’albero, e via via che passava il pomeriggio lo scatolone si svuotava, l’albero si colorava, i ricordi gli attraversavano la mente; ogni tanto ravvivava il caminetto, rispose a una telefonata di auguri, si fece un altro tè e intanto con la musica di sottofondo tra una breve interruzione e l’altra completava il suo albero.

Verso sera lo scatolone consegnò l’ultima palla; una pallina piccolina, bluastra, sbiadita con molte crepe nel colore.

-Ah, la pallina blu, era rimasta ultima la briccona! – Pensò sorridendo felice.

Era vecchissima.

Probabilmente lei era appena nata e faceva parte di quei Natali modesti dell’epoca antica, in cui le palline di Natale erano poche e poco fantasiose, e al posto delle lucine elettriche si mettevano le candele, con le bugie provviste di un manico a molletta per stringerle sui rami.

Aveva avuto sempre un posto abbastanza centrale, semmai in basso, piccola pallina delle origini…

La nonna, che per la stanchezza era accosciata accanto allo scatolone, si alzò e si stirò leggermente la schiena dolorante.

Andò verso l’armadio alla sua destra e aprì il pacchettino che aveva acquistato pochi giorni prima. La palla di quest’anno era molto semplice: una sfera argentata di media grandezza con un’unica fila di radi puntini rossi all’equatore. Semplice, un po’ anonima, senza grandi pretese. Come lei.

 Si avvicinò all’albero, ormai pieno di colori e di sfere che riflettevano la luce tremolante del caminetto.

Difficile trovare un posto libero, un posto adatto.

-Dove metterti?

Osservò l’albero da prospettive diverse, facendo anche un paio di passi indietro, poi avanti e di lato per cogliere l’armonia complessiva del suo lavoro.

– Ah, sì, ecco!

C’era un angolino libero, un po’ in basso sulla destra.

Subito sopra una palla gialla, luminosissima, che piaceva enormemente alla figlia, un carattere solare come il padre; era sempre lei, la figlia, che cercava nello scatolone, un tempo assai più piccolo, la palla gialla, la sua palla, per sistemarla sull’albero ad altezze a lei

accessibili, man mano più alte col passare degli anni.

Poco più in basso invece una sfera abbastanza triste nei suoi colori opachi, a righe verticali, un residuo dell’albero aziendale dell’anno in cui andò in pensione, era dicembre appunto, con tutti i colleghi si fece un albero non memorabile e poi ciascuno, per non buttare via tutto, si portò via qualche sfera.

Era schiva, non la scelse, e semplicemente si ritrovò questa e la tenne; pochi mesi dopo andò in pensione, si sentì più libera e serena, e la bruttezza della palla contrastava col senso di leggerezza che acquistò.

Ecco, fra la palla gialla e questa a righe c’era un buchetto dove il poté collocare quella di quest’anno.

Era soddisfatta, controllò lo scatolone impolverato ormai vuoto e lo portò nello sgabuzzino.

Ai piedi dell’albero giacevano ancora filamenti argentati e luci ma ci avrebbe pensato l’indomani.

Si era fatto tardi, era ora di riscaldare il minestrone.

Lia rimirò a lungo l’albero.

Anche quest’anno non era affatto male.

Un anno ancora.

Un albero, una nuova palla di vetro.

E lo scatolone ormai pieno.

Spense la luce e si diresse in cucina.

Venerdì 25 Dicembre

Confusione.

La figlia, Lucilla, era arrivata alle nove e mezzo con un quintale di cibo, in parte già preparato, le aveva dato un bacio frettoloso e si era messa in cucina.

Alle dieci era stata raggiunta dalle zie che avevano biascicato un saluto frettoloso al fratello e l’avevano raggiunta.

Lia, dalla sala, sentiva l’allegro cicaleccio, qualche pentola che sbatteva e, dopo un po’, l’inizio di qualche buon profumo.

Giacomo arrivò tardi come al solito, dopo mezzogiorno, e dopo qualche abbraccio lasciò Luca alle sue cure e, con la moglie, si mise ad apparecchiare con rigore il tavolo di noce.

Arrivarono anche i consuoceri esibendo spumanti a loro dire fantastici e pian piano la buia stanza dell’albero assunse colori, acquistò sonorità, guadagnò in luci, discorsi, movimenti.

E per un attimo a Lia parve di essere tornata indietro nel tempo, a quando c’era Pino, i bambini erano piccoli, e si faceva gran festa a Natale.

“A tavola! A tavola” esclamò squillante Lucilla entrando con una zuppiera d’epoca ricolma di tortellini.

“Seduti! Seduti” esortò una zia agghindata quanto l’albero di Natale.

“A lavarsi le mani, Luca!” esclamò un’altra zia dagli abiti più dimessi.

 “Porta lo spumante!” disse il consuocero entusiasta.

“Abbiamo fame!” ribadì gagliardamente Giacomo.

“Luca tu siedi, qui, nonno là, zia sopra, tu sotto…” ordinò la moglie di Giacomo col consueto piglio spigliato ma dolce.

“Io di tortellini ne voglio tanti!” si raccomandò il piccolo Luca sempre affamato.

Queste bellissime voci chiassose scossero nonna Lia dal leggero torpore dei ricordi.

Si alzò, si sedette, mangiò i tortellini, fece il brindisi.

L’albero era proprio di fronte a lei e fra un convenevole e l’altro non riusciva a evitare di guardarlo.

Era proprio un bell’albero… un albero che parlava di vita.

Il suo sguardo correva velocemente da una palla all’altra, da un ricordo all’altro.

Quella verde in alto è la nascita di Lucilla.

Quella arcobaleno in basso l’anno dell’incidente.

Quella arancione a righe l’acquisto di casa.

Poi vennero i dolci e altri brindisi e “I regali! I regali!” esclamò Giacomo, e Luca “I regali! I regali!”.

Scambi di maglioni, qualche cosa di brillante e sfarzoso per le signore giovani, qualche giocattolo e libri per Luca.

Quella era la parte più noiosa del Natale.

Alla nonna non piaceva regalare nulla e non desiderava ricevere nulla in regalo. Il Natale gli era sempre parsa la festa della famiglia, uno scaldarsi i cuori reciprocamente con la presenza, gli sguardi, il raccontarsi.

Questo rito dei pacchetti vistosi con dentro cose di limitata utilità non gli era mai piaciuta, ma faceva buon viso, riceveva i suoi regali scontati e consegnava quelli che spettavano agli altri elargendo sorrisi e scambiando abbracci.

Solo alla fine Giacomo bisbigliò qualcosa all’orecchio di Luca che andò spedito dalla nonna: “Questo è per te nonna”, disse consegnandole un piccolo pacchetto.

Lo aprì e tolse il coperchio alla piccola scatolina curata di cartoncino bianco dal vistoso fiocco rosso.

C’era una pallina di Natale.

Piccolina, rosso fuoco, con un piccolo ghirigoro bianco in cima e una trama attorno, come un pizzo delicato e trasparente.

Una ballerina con il tutù, pensò subito Lia.

Era bellissima.

L’estrasse con delicatezza, tendendola stretta tra le sue mani incerte di vecchia: una pallina!

– Spero che ti piaccia nonna!

– È… è bellissima… grazie tesoro.

Si alzò e si diresse zoppicante verso l’albero. Tutti tacevano, sapendo. Capendo.

Scrutò per qualche istante l’albero, con lo sguardo offuscato da una lacrima che cercava di non far uscire.

 Non aveva dubbi.

 Si abbassò un po’, tolse la palla grigia e anonima che aveva comperato e al suo posto mise la nuova pallina di Luca.

Era giusto così.

Rialzandosi incespicò leggermente, maledetta sciatica, e la palla grigia cadde andando in frantumi.

– Non fa niente, non fa niente! – si affrettò a dire girandosi verso la famiglia.

– Non fa niente, quella era una palla davvero brutta. Davvero brutta.

Pulirono. Guardarono l’albero, risero, scherzarono, giocarono a tombola e bevvero ancora un bicchiere.

Poi sgomberarono la tavola, Lucilla si riprese le sue cose e scappò via, poi le zie chedovevano andare a trovare le amiche di burraco, poi Giacomo e famiglia.

Sulla porta Lia abbracciò forte Luca, sentendo un’ondata di emozione che la soffocava.

– Ciao Luca. Torna presto dalla nonna. E… grazie per il tuo bel regalo.

La casa tornò quieta, la penombra tornò a regnare, rischiarata dai baluginii del fuoco.

Nonna Lia osservò stanca Romeo giocare indisturbato con quei capelli d’angelo argentei che spuntavano indisciplinati dall’orlo dell’abete.

Dette un ultimo sguardo all’albero.

Adesso era davvero un bell’albero, così luminoso, così ricco di verità della sua vita, di esperienze.  

Andò in cucina per finire di riassettare e buttò casualmente un’occhiata allo scatolone nello sgabuzzino riempito da una Fifì sfacciata e curiosa che faceva capolino suscitando l’attenzione di un distratto Romeo.

Ma sì, c’era ancora un po’ di posto, qualche altra sfera poteva prende posto nello scatolone della vita tra le incontrollabili linee del furo nelle misteriose pieghe del tempo.

Subscribe
Notificami
guest

0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments
error:
0
Would love your thoughts, please comment.x